È di uno dei tanti nuovi concorrenti la definizione di «farsa» attribuita alle primarie del centrosinistra. Ho in passato osservato che le primarie all'americana si adattano in maniera del tutto astratta al sistema politico-elettorale italiano costituito da due coalizioni e non da due partiti, tanto più se servono per convalidare la scelta di un leader compiuta in precedenza sulla base di calcoli che prescindono totalmente dai risultati del sondaggio. È per questo che la gara apertasi nel centrosinistra somiglia più a una sceneggiata che non a un'effettiva procedura di selezione. Ma ora l'afflusso alla competizione di nuovi concorrenti estremisti induce una seria riflessione sulle prospettive della democrazia dell'alternanza nel nostro Paese.
Finora nelle primarie all'italiana si erano fatti avanti alcuni leaderini di gruppi in cerca più di pubblicità e di collegi che non per contendere effettivamente il ruolo di candidato premier al già designato Romano Prodi. Infatti il verde Pecoraro Scanio, il centrista Mastella e il manipulitista Di Pietro guidano tutti partitini che restano al di sotto della soglia necessaria per avere eletti proporzionali (4%), e quindi risultano soprattutto interessati a strappare qualche collegio sicuro dalla loro posizione marginale. Ad essi si erano inoltre aggiunti Vittorio Sgarbi, recordman di sconfitte elettorali nei collegi uninominali, nella lista Pannella-Sgarbi e in quella Pri-Sgarbi, e l'outsider londinese Ivan Scalfarotto, sostenuto dalla bella gente di «Libertà e Giustizia».
Restava la più pesante candidatura massimalista di Fausto Bertinotti il quale, in una specie di concordata divisione dei ruoli con Prodi, tendeva a convogliare sul centrosinistra le preferenze degli elettori estremisti. Ora, però, la situazione cambia con l'ingresso nelle primarie, accanto al leader comunista, anche di altri personaggi marginali o folcloristici come Don Andrea Gallo, Don Vitaliano della Sala e il no-global Luca Canarini, mentre rimane incerta la discesa in campo del pacifista parolaio Gino Strada, campione dell'antiamericanismo viscerale e dell'antioccidentalismo terzomondista.
Il fatto che vi siano tanti personaggi che a vario titolo rappresentano l'estremismo e il giustizialismo assume un significato per l'intero centrosinistra che si appresta a chiedere il voto per governare l'Italia. Proprio mentre si parla tanto di centro e centrismo, gli estremisti e i massimalisti, con la loro massiccia presenza, accentuano la pressione sul centrosinistra per influenzarlo oggi e condizionarlo ancor più domani. Pur se da posizioni variegate, i candidati dell'extrasinistra si propongono di ribaltare i buoni propositi della sinistra ragionevole. In politica estera pretendono l'immediato ritiro delle truppe dall'Irak, la rottura dell'alleanza con gli Stati Uniti e l'abbandono d'ogni resistenza al terrorismo. In politica economica sono pronti a fare carte false per ottenere provvedimenti demagogici che affosserebbero definitivamente l'economia italiana. In politica istituzionale la loro sensibilità nei riguardi dei diritti individuali d'origine liberale è uguale a zero.
Su tutto ciò qual è l'opinione di Prodi? Che succederà quando questo gruppo di candidati totalizzerà, diciamo così, il 15-20% delle preferenze primarie e passerà all'incasso? Che faranno Fassino e Rutelli di fronte alle rivendicazioni di Bertinotti-Don Gallo-Strada-Pecoraro Scanio? Può sentirsi tranquillo chi vuole preservare il sistema bipolare e l'alternanza di fronte alla inevitabile pressione dell'estremismo parolaio che non viene contestato né respinto dalla sinistra che vuole governare?
m.teodori@agora.it
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