Un progetto e un po’ di malizia

Nei circoli snob si sostiene che la manifestazione in piazza San Giovanni non serve, rafforza solo Romano Prodi. Che non sia così, si comprende anche solo leggendo la cosiddetta stampa indipendente: come si è montata la bufala Deaglio, com'è scoppiata la vicenda Scaramella-Guzzanti. Il Sole 24 Ore, poi, per intimidire chiunque flirti con il centrodestra vara anche una bella inchiesta con forte richiamo in prima pagina sul senatore Sergio De Gregorio reo di non votare come il governo a Palazzo Madama e che pare abbia emesso nel passato qualche assegno a vuoto e gestito qualche impresa indebitata: evento, peraltro, non raro tra i maggiori sponsor della direzione del Sole. Insomma, come si diceva un tempo, chi tocca il centrosinistra «avrà del piombo» sia pure, e sempre più metaforicamente, tipografico.
Anche solo questo fuoco di sbarramento fa comprendere l'importanza della manifestazione. Chi invita, però, a riflettere sugli sbocchi da dare al grande spiegamento di forze di piazza, non va esorcizzato. Non si è nella situazione del 1996: la forte iniziativa di allora serviva a preparare la traversata nel deserto, a tenere viva l'opposizione in un Paese in cui si cerca sempre di togliere rappresentanza a chi non si omologa all'establishment e al centrosinistra, spesso alleati. Oggi la situazione non è questa: c'è una maggioranza ubriaca, poco legittima (lo 0,06 per cento di vantaggio avrebbe dovuto consigliare ben altri atteggiamenti) con un Prodi che i suoi peggiori guasti (talvolta anche contro Massimo D'Alema) li combina in politica estera e nel mix affari-potere politico.
Il centrosinistra poteva sperare di durare se avesse sfondato il 9 aprile, contando su due maggioranze, una più riformista, una più radicale. Oggi, ogni giorno è scosso da nuove contraddizioni. Finché non cadrà. Sarebbe stato meglio se fosse caduto subito. Ma comunque difficilmente andrà lontano.
Ecco perché piazza San Giovanni ha ora un segno diverso dal 1996: va spesa subito e per farlo bisogna trasformare la protesta in coscienza politica (i circoli della libertà e la prospettiva del partito unitario sono, in questo senso, ottimi passi, non bastano però) ma anche in proposta a breve. C'è chi contrappone protesta a proposta: ma questo è un modo per accodarsi a un piccolo establishment (qualche banchiere, qualche imprenditore indebitato e la cosiddetta stampa indipendente) che non solo ha sempre meno peso (innanzi tutto per la crescita del potere di Giovanni Bazoli) ma soprattutto gioca ogni occasione in uno scambio di interessi con il centrosinistra, senza nessun disegno politico se non quello di togliere rappresentanza al centrodestra «che c'è». Fare politica oggi significa dare una prospettiva al Paese che chiede meno tasse e più serenità, e in questa ottica la proposta di un governo istituzionale ha senso. Ma questa proposta va perseguita a occhi aperti, incalzando i confindustriali, i grandi giornali, i banchieri che a parole rivendicano uno sbocco di tregua, ma in realtà sono solo interessati ai piccoli scambi con il centrosinistra. Se si condiziona questo accrocchio di potere, i minuti di resistenza del governo Prodi sono contati. Se no, c'è il rischio per il centrodestra di finire nell'ampia palude degli scandaletti quotidiani (il respiro per le grandi operazioni tipo Mani pulite pare esaurito).

È un compito politico non difficile, il piccolo establishment che cerca di interporsi tra il nutrito popolo del centrodestra e un nuovo sbocco politico magari di unità istituzionale, è sempre più debole. Ci sarà bisogno però non solo di forza ma anche di malizia.

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