«Pubblico libri mostruosi e ve li do gratis in rete»

Prima fu un blog. Ora vibrisselibri è una casa editrice on line. Parla Giulio Mozzi, editor e scrittore che l’ha ideata

Neoavanguardista? Sperimentale? Lo scrittore Giulio Mozzi, 46 anni, padovano, è una fucina di iniziative difficilmente catalogabili con un’etichetta. Esordì nel ’93 con la raccolta di racconti Questo è il giardino, segnalato da Marco Lodoli. Fu accolto dalla critica come un evento. Poi ha scritto altri sei libri suoi e tanti altri ne ha fatti pubblicare. Molti a loro volta accolti dalla critica come un evento. «Ci sono persone che hanno come destino di inventarsi cose nuove. Io ne invento un sacco. La maggior parte non funzionano. Io sono l’esatto contrario di un imprenditore: mi piace avere una buona idea e trovare qualcuno che ci stia. Non guardo al profitto, il profitto è un limite».
Una volta si definì «un cattolico nevrotico e sovrappeso». Tre aggettivi che lo rappresentano perfettamente. Veste a metà tra un prete di base e un volontario della mensa del defunto fratel Ettore. E ha l’occhio vivace tipico del nevrotico.
L’ultima sua trovata è una casa editrice che non produce libri. Li sceglie, li progetta, li edita, ma non li stampa. Si chiama vibrisselibri, (www.vibrisselibri.net) dal nome del bollettino letterario che dal 6 agosto 2000 è diventato un appuntamento per chi cerca qualcosa di nuovo nella muffosa Repubblica delle Lettere. Prima era una newsletter settimanale, poi divenne blog, tra i più cliccati e vivaci del mondo letterario. Essere segnalati dal blog di Mozzi per un autore è un po’ come essere l’ananas a cui l’Uomo del Monte ha detto sì. La stessa cosa accaduta a molti esordienti lanciati dalla Sironi, la piccola casa editrice milanese per cui Mozzi fa l’editor: da Tullio Avoledo con l’Elenco telefonico di Atlantide a Don Luisito Bianchi con La messa dell’uomo disarmato, da Alberto Garlini di Fùtbol bailado a Giorgio Falco di Pausa caffè fino al romanzo mostruoso di Leonardo Colombati Perceber. Testi di qualità, romanzi lontani dalla narrativa facile o di intrattenimento.
Nel cartoncino che annunciava il lancio dell’ultima folle iniziativa, nata ufficialmente il 16 novembre scorso, Mozzi scrive: «Perché farlo adesso? Perché sennò non lo farò mai più».
Questa è una ragione sufficiente per dar vita a una nuova casa editrice?
«Non è solo un motto. Adesso è il momento giusto, perché si può usare il web in modo più naturale».
Il futuro del libro sarà on-line?
«Favole. È finito il periodo di sbornia, quando si diceva che il libro elettronico avrebbe sostituito quello di carta. Noi invece usiamo la rete come strumento».
Cioè?
«Produciamo libri e li mettiamo in rete: libri veri a tutti gli effetti, impaginati, con la copertina, il frontespizio. L’unica differenza è che non li stampiamo. Chi vuole se li scarica. Il giorno dell’uscita dei primi due libri il sito è saltato per i troppi contatti. Nel banner c’era scritto: “Romanzi gratis, cliccate qui”. Come imbucarsi al convegno perché c’è il buffet».
Perché non fare una casa editrice vera e propria?
«Per uscire dalla logica del piccolo editore, costretto a rifugiarsi nella nicchia per non soccombere alla logica della grande industria editoriale. Anche un grande editore come Mondadori, per i meccanismi della logica industriale, per le esigenze di profitto, non si può più permettere di fare scouting».
Quindi becchi e bastonati. Fate un gran lavoro, correggete perfino le bozze e poi i vostri libri anomali vanno in rete gratis...
«Io voglio fare azioni esemplari e minimizzare i costi significa avere la libertà dal profitto. Al mio progetto lavorano gratis cinquanta persone che hanno aderito con entusiasmo. Il 65 per cento sono professionisti dell’editoria e della carta stampata. L'altro 35 per cento è gente comune: l’infermiera, il rivenditore di materiali per l’edilizia, il futuro radiologo».
Scusi Mozzi, lei è un editore o il capo di un girotondo per la liberazione della letteratura, un no global del libro?
«Macché, un vecchio democristiano come me al massimo può fare un’iniziativa di sinistra riformista».
Libertà dal profitto, grandi ideali, editoria da intendiori, fatta da pochi per pochi. Lo sa cosa direbbe uno come Gian Arturo Ferrari di gente come lei? Che siete degli snob con la puzzina sotto il naso.
«L’élite è quella che comanda. La massa è quella che fa la fortuna di un libro. Io sono un co.co.co della Sironi, con contratto rinnovato ogni anno. Questa è la mia ultima busta paga. Guadagno 1.050 euro al mese (1.326,55 con i rimborsi spese), quanto mi basta per vivere dignitosamente, comprare due giornali al giorno e permettermi pure il vizio del fumo. Però sono un uomo di potere. Ho il potere di consigliare la pubblicazione di un libro, ho il potere di lanciare un appello sul blog a giugno “Facciamo una casa editrice in rete” e trovarmi con cinquanta persone entusiaste. Ci siamo visti la prima volta il 16 novembre, a Roma ed è stata una grande emozione. A me non interessa assecondare il gusto, mi interessa l’innovazione. Io penso che ogni libro possa avere più vite. La prima gliela diamo noi su vibrisselibri, sperando che poi ne trovino un’altra di carta. Il mio scopo è che questi libri vengano poi stampati».
Già ricevuto offerte da qualche editore?
«Proposte vere no, interessamenti sì, ma al momento non mi sembra il caso di fare nomi».
Però può fare un primissimo bilancio.
«Abbiamo una media di 4-5mila contatti al giorno. Il saggio sugli anni di piombo di Demetrio Paolin La tragedia negata è già stato scaricato da 2.500 persone mentre L’organigramma, il romanzo fanstastico su Piazza Fontana di Andrea Comotti da più di mille. Faremo due libri ogni tre mesi. I prossimi saranno un poema in versi che parla di debiti e tradimenti (Alessio Pasa, Appuntamento con il notaio) e un romanzo su una violenza sessuale (Eugenio De Medio, Nenio)».
Roba leggera...
«Dagli addetti ai lavori ho riceuto una dozzina di messaggi del tipo: geniale. Altrettanti che dicevano: impossibile che funzioni».
Non c’è il rischio di diventare il rifugio degli scrittori scartati dagli altri editori?
«Anche Avoledo era stato rifiutato e dopo il successo con Sironi l’ha pubbicato Einaudi. Anche Moccia all’inizio circolò solo sotto forma di fotocopia. Circolava ma non esisteva. Poi ha venduto milioni di copie quando l’ha stampato Feltrinelli. Nella Repubblica delle Lettere si entra solo per cooptazione, come fece Lodoli con me. Oggi ho aperto dieci plichi contenenti manoscritti e ogni volta penso che sto ripetendo il gesto che fece Lodoli con il mio 14 anni fa. È una forma di restituzione».
Che libri intende pubblicare?
«Libri mostruosi. Senta questa favoletta, una mia libera interpretazione di Stefanino di Palazzeschi. Immaginiamo che si diffonda nell’umanità una mutazione genetica per cui nascono persone con la testa al posto del culo e il culo al posto della testa. La società li aborrisce e si approntano piani eugenetici per evitare che ne nascano altri. Però c’è uno scienziato pazzo che di nascosto li alleva in un laboratorio in Amazzonia, perché questi mostri hanno una particolarità: cantano con una voce bellissima. Lui li tiene in un recinto e li fa cantare. Ecco, io vorrei che questi esseri mostruosi andassero in giro liberi per il mondo. Voglio fare libri che siano mutazioni genetiche. Il problema vero dell’industrializzazione dell’editoria è la riduzione della varietà genetica. Sono contro l’eugentica del libro: deve essere fatto in certo modo per andare bene. Questo danneggia la specie».
Per dei libri mostruosi servono lettori altrettanto mostruosi. È sicuro di trovarne o sono stati modificati geneticamente anche loro?
«Ogni libro deve incrociare l’editore giusto e il lettore giusto. Ci sono diversi tipi di lettori per diverse forme di libro. È un po' quello che sta accadendo con i giornali on line. Non ho mai comprato la Gazzetta dello Sport però la leggo al bar. Non ho mai comprato il New York Times però acquisto on line molti articoli. Invece Il Gazzettino lo compro per leggere le notizie locali. Diverse forme per lo stesso prodotto».
Anche Baricco sta facendo qualcosa di analogo. Il suo ultimo libro sui Barbari è uscito prima a puntate su Repubblica, ora lo pubblica in volume allegato al quotidiano e contemporaneamente ne fa un’altra edizione anche per la Fandango.
«Se io fossi capace di fare soldi come Baricco, farei come lui.

Avrei fatto la scuola di scrittura Holden, avrei creato la casa editrice Fandango. Ho molta stima di lui come operatore culturale, c’è molta sufficienza in chi ignora questo fatto. Ma io non ho questo talento. Talenti diversi dal mio, con le mie idee potrebbero farci molti soldi».

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