Tra coloro che pensano che Silvio Berlusconi sulla giustizia esageri ci sono due scuole di pensiero. C’è chi criticherebbe il Cav anche se dovesse affermare che due più due fa quattro. E costoro lasciamoli stare nel loro brodo.
C’è invece un’altra parte di italiani che crede, con il premier, che la riforma della giustizia vada fatta. Ma che reputa «sopra le righe» la posizione di Berlusconi. E che ritiene (e con molta ragione) che qualche ottimo giudice a Berlino ci sia, ma anche a Roma, a Milano e in molte altre circoscrizioni. È la stessa parte di italiani che, pur ritenendo indispensabile un cambio alla giustizia, è scettica sul fatto che il Cav riesca a portarla a termine.
Cerchiamo di vedere come stanno le cose, utilizzando tre casi che non riguardano il premier. Due giorni fa l’ex governatore della Banca d’Italia, Antonio Fazio, è stato condannato a quattro anni per aggiotaggio per la scalata di Antonveneta. Il giudice ha aumentato di un terzo la pena richiesta dai pm. Non stiamo a riassumervi tutta la storia. La sostanza è che Fazio, per mantenere in mani italiane una banca, si è creato una pattuglia di villani dall’affare svelto che erigessero le barriere contro lo straniero. In America le autorità locali disponevano di Bank of America o Goldman Sachs, noi di improbabili immobiliaristi. Sia chiaro,l’operazione era una schifezza. Dal Giornale criticata, criticatissima. Un po’ come riteniamo assurda la difesa dell’italianità di Parmalat. Ma la sentenza di sabato è una botta. È uno schiaffo esemplare: ha in sé i germi di quella terribile attitudine di volerne colpire uno per educarne cento.
Sentenza esemplare e che farà scuola anche quella che riguarda i vertici della Thyssen. Sono stati condannati per omicidio volontario. I morti ci sono: eccome. Le responsabilità, evidentemente, pure. Ma certo la volontarietà del reato dà un sapore completamente diverso all’accaduto. Il terzo caso riguarda invece un rinvio a giudizio appena annunciato. Nei confronti della Commissione grandi rischi che non avrebbe previsto il terremoto dell’Aquila. Conclusione che ognuno può commentare da solo. Queste tre storie ci raccontano che il tema della giustizia è sempre là, dietro l’angolo. Con o senza Berlusconi, la politica italiana con la giustizia prima o poi dovrà fare i conti. Sono casi importanti. Si tocca l’operato della nostra più importante Authority di vigilanza, si muta esponenzialmente il set di regole connesse al fare impresa in Italia, si indaga sulla fantasia. La questione non è se i giudici abbiano ragione o torto. Il punto è che il loro potere è incontrollabile, i loro eventuali errori non sanzionabili. I bilanciamenti sono inesistenti. Si ha l’impressione di una politica debole, e di una magistratura invece pronta a dare sanzioni esemplari. La magistratura è diventata (anche suo malgrado) il vero potere forte di questo Paese. Forse primi tra tutti sono stati i radicali a capirlo con lucidità.
Gli stessi radicali che avrebbero recentemente dato una mano al governo Berlusconi se solo non avesse perso troppo tempo con le leggine ad personam, ma avesse proceduto senza indugi a una riforma complessiva. Ahinoi sono gli stessi radicali che però hanno pensato bene di appoggiare un ex magistrato come De Magistris a Napoli.
Comunque si chiudano le elezioni amministrative, il premier non si faccia intimidire. Dia un segnale forte sul Fisco per irrobustire la nostra quotidianità, e proceda senz’altro alla riforma della giustizia. Magari con qualche parola in meno e qualche voto in più.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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