IL PUPO SENZA BRACCIA E IL MIRACOLO DELLA GROTTA SEGRETA

C’era una volta un pupo di terracotta senza braccia. Ogni anno i suoi compagni venivano portati via e per un mese lui restava solo in fondo al baule. Finalmente i padroni decisero di buttarlo nella spazzatura; ma nel liberarsene non si accorsero di averlo fatto scivolare sul pavimento.
Il pupo aveva le gambe, e buone; si alzò e si guardò intorno. Un chiarore lo attrasse. Attraversò la cucina e il corridoio; entrò quindi nel salone. Una stella cometa appesa al soffitto illuminava le bianche cime delle colline e i prati verdi della valle. Una lavandaia insaponava i panni in un ruscello che non c’era; una ragazza ne stendeva altri al vento che non soffiava. Una massaia impastava farina per focacce da cuocere al forno che era spento; e un uomo teneva in bilico sul capo un asse dov’erano allineate forme di pane appena cotte ma già dure come macigni.
Al bordo di uno specchio d’acqua, che invece era di vetro, pescatori aspettavano con ansia che i pesci abboccassero all’amo; altri tiravano in fretta le reti. Galli e galline beccavano l’erba senza mangiarla; una donna aveva tra le braccia un’oca più grande di lei; altre comari portavano penzoloni polli legati per i piedi. Osti, voltando le spalle alle loro taverne, sollevavano barili di vino sulle spalle; e, sulle teste, contadine portavano grandi cesti d’uva. Ragazzi spingevano per le stanghe carriole cariche di prosciutti, salami e provole; fanciulle poggiavano con grazia sul fianco panieri di frutta. Carrettieri frustavano senza schiocco i muli appaiati ai barrocci degli ortaggi; e cani abbaiavano muti tra le ruote.
Il pupo riconobbe in loro le statuine che gli avevano tenuto compagnia nell’oscurità del baule e che ora popolavano un paesaggio luminoso dove erano rappresentati tutte le stagioni e tutti i continenti. Quella folla sparsa sembrava dirigersi verso lo stesso punto; ma correva senza muoversi, come nei sogni. Il pupo invece potè risalire la calca, forse perché l’agilità delle gambe gli era stata data a compenso delle braccia che non aveva. Attraversò un bosco dove i taglialegna abbattevano alberi e altri li facevano a pezzi per la stufa. Superò un gruppo di pastori che portavano in collo agnelli con la bocca aperta per belati che non si sentivano; e al ragazzo che incitava a gesti le pecore più pigre perché si unissero al gregge domandò: «Dove andate?».
Quello gli rispose indicando con la testa una grotta che si apriva nel fianco di una collina. Il pupo arrancò più in fretta; voleva vedere; e da un prato in fiore passò subito in un pendio sepolto da una coltre di neve. Finalmente si fermò sentendo di essere arrivato alla fine di un viaggio.
Quello che vide lo incantò: un vecchio con la candida barba e una fanciulla dagli occhi celesti contemplavano un bambino che dormiva ignudo sulla paglia di una mangiatoia. Da lui nasceva la luce che faceva scintillare le pareti di roccia fino a rivestirle d’oro. Per proteggerlo dal freddo un asino e un bue gli alitavano il loro fiato umido e caldo che spargeva intorno un pulviscolo di stelline.
Il pupo restò immobile a lungo, poi dalla gola di creta gli uscì, irrefrenabile, un grido di meraviglia: «Oooooooooh!».
L'asino lo udì; voltò la testa verso di lui e, dopo averlo osservato, disse al bue: «E questo chi è?».
«Mmmmh! - fece l’altro - È venuto con le mani vuote!».
«Tanto vuote - osservò l’asino - che nemmeno ce le ha».
«Sono nato così - si giustificò il pupo - per uno sbaglio!».
«Ma qualche cosa potevi portarla! Sulle spalle, sul capo, tra i denti!», ridacchiò il bue.
«Pussa via, straccione!», ragliò l’asino.
Il pupo, mortificato, fece per andarsene; ma il vecchio all’improvviso si voltò a guardarlo e con un cenno gli ordinò di restare. Il pupo aveva gli occhi pieni di lacrime, non di dolore, ma di gioia, anzi di gioia e di tristezza insieme. Forse era un pianto di gratitudine perché sentiva crescergli dalle spalle le braccia che non aveva mai avute. E quando furono complete le alzò, le mani tese e tremanti, e le spalancò per contenere l’unico grande dono che poteva portare: la sua meraviglia.


Gli sembrò che il bambino si svegliasse al suo «Oooooooooh!» e che sporgendosi dalla mangiatoia gli sorridesse.
Da quel giorno il pupo trovò posto ogni anno nei presepi di un’isola chiamata Sicilia e fu detto: «Il meravigliato della grotta».

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