Putin: lo scudo spaziale è come la minaccia dei Cruise negli anni ’80

da Washington

La seconda «guerra fredda», quella a parole, è ormai in corso. E puntualmente già volano le parole, se non i fatti, della guerra fredda vera. Questa volta i missili Pershing e Cruise, che furono al centro del dibattito negli anni Ottanta e la cui presenza in Europa portò a una crisi diplomatica che a sua volta poi produsse la fine della tensione, e dell’Unione Sovietica.
Vladimir Putin ha citato il missile Pershing come paragone di alcune componenti del sistema di scudo antimissilistico progettato da Washington e che dovrebbero essere installate sul suolo europeo, anzi dell’Europa Orientale, il più vicino possibile al territorio russo. Putin, che già il giorno prima aveva annunciato una misura di protesta piuttosto sonante come la sospensione della validità del trattato del 1990 sulla limitazione degli armamenti «convenzionali» in Europa, ha preso per l’occasione la visita a Mosca del presidente della Repubblica Ceca, Vaclav Klaus, leader di uno dei due Paesi che potrebbero ospitare componenti dello scudo (l’altro è la Polonia). Il presidente russo ha espresso la sua apprensione. «Questi sistemi - ha detto - potranno dare agli Usa il controllo dell’intero territorio russo fino agli Urali. Tutto questo accadrebbe se noi non prendessimo le contromisure necessarie. Ma noi lo faremo». Anche per evitare, ha ribadito Putin, un alto rischio e cioè il ritorno alla formula che contrassegnò gli ultimi anni della guerra fredda, la «Mutual assure destruction», sigla Mad, che in inglese significa anche «pazzo». Fu la certezza della distruzione reciproca in caso di un conflitto nucleare a costituire, soprattutto nell’ultimo decennio, la principale garanzia contro questa distruzione. Ma quelli erano altri tempi, sostiene la diplomazia russa, e oggi il dispiegamento in Europa di parti componenti cruciali dello «scudo» americano significherebbe un ritorno al concetto «matto» della Distruzione Reciproca.
La prima delle contromisure cui Putin ha accennato è appunto la moratoria sull’altro volto dell’equilibrio militare, quello «convenzionale», preannunciato dopo il risultato fallimentare dell’ultima riunione del consiglio Russia-Nato, in cui Mosca ha messo sul tavolo proprio lo scudo spaziale. Ciò ha indotto il ministro degli Esteri Lavrov a coinvolgere gli alleati europei nella polemica con gli Stati Uniti, in primo luogo denunciando la «latitanza» degli europei nei possibili sviluppi di quell’organismo che, sorto proprio nei giorni della trasformazione dall’Urss alla Russia, sarebbe dovuto servire come un foro per sviluppare e possibilmente accelerare la trasformazione «occidentale» di Mosca. Ciò non è accaduto e anzi «ci troviamo in una fase di involuzione in cui oltre alle iniziative viene a scadere anche il livello di fiducia. Le potenzialità dell’organizzazione vengono sempre meno utilizzate». La Russia insisterà e riporterà il dossier «scudo» sul tavolo del prossimo incontro, in calendario per il 10 maggio, ma con scarse possibilità di successo. Non giova che sia la Russia sia gli Stati Uniti si trovino in un periodo non solo di campagna elettorale ma anche alla vigilia di un cambio di leadership. Né Bush né Putin possono essere rieletti e anzi il presidente russo nel pronunciare ieri l’altro il suo discorso annuo «sullo stato della nazione» ha avvertito esplicitamente che si trattava del suo ultimo.
Infine il contenzioso non è solo e neppur prevalentemente militare.

Ci si trova in realtà di fronte a una collisione fra due opposte strategie politiche: il tentativo della Russia di recuperare, grazie alla favorevole congiuntura economica dovuta agli alti prezzi energetici, e la componente «euroasiatica» della strategia americana a lungo raggio, che richiede che non si crei, soprattutto in quella parte del mondo, un «contro polo» che possa alimentare pericoli per la estensione nel tempo dell’attuale predominio planetario degli Stati Uniti.

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