Fino all'ultima pagina. Anche se i dieci piccoli indiani cadono come mosche e la soluzione dovrebbe essere a portata di riga. Niente. Ci resti appesa a «Il vicolo delle cause perse» di Claudio Paglieri, incastrata in un meccanismo logico che gioca con le vie di fughe, mostra quello che-è-ma-potrebbe-essere- altro, scopre le carte e intreccia i livelli, molti, di un omicidio. Quello di Barbara Ameri, la giovane segreteria del broker Giulio Mantero massacrata nel suo ufficio di Rapallo. Con la mamma di lui che cancella ogni traccia sulla scena del delitto e la storia familiare di lei, i suoi pochi amici, la sua crisi d'identità e la deriva anomala in un fotogramma al di sopra di ogni sospetto. Nessun movente apparente, nessuna arma del delitto, solo una discesa agli inferi per grattare il fuori e sventrare i personaggi. Un passo doppio: il commissario Marco Luciani dimissionario e il vice Nicola Giampieri che si prende il caso e punta alla promozione. Tutto in tre settimane. Giorno dopo giorno. Luciani-Giampieri, con i colleghi che chiedono a Luciani di occuparsi dell'omicidio e Giampieri che teme di perdere la sua grande occasione. Cronaca di due vite, specchio e riflesso. Paglieri salta di anima in scheletro e costruisce un racconto potente. Dettaglia i sospettati e si mette alle calcagna di chi indaga. Un pezzetto alla volta, devi fiutare quello buono e incastrarlo nel puzzle.
Un piano sequenza sullo sfondo di un Luciani in apnea nella sua casa nei vicoli, con il napoletano vicino d'alloggio che non si perde una smorfia e gli suggerisce di pregare San Giuda, «santo delle cause perse perché si rivolgono al lui solo quando è troppo tardi». Due modalità d'indagine che fanno il pieno d'indizi e disegnano la scena di un crimine nella sua valenza stretta e nei suoi (intuibili) collegamenti a latere. Personaggi insospettabili come Mantero che sfiora l'abisso e tira dentro i servizi segreti. È sul «socialmente-eticamente corretto» che s'avvita questa storia nera, sull'ambiguo che Paglieri maschera d'artista, sulla corsa frenata che sbocconcella il delitto, lo mastica e lo restituisce sfumato e graffiato. Una ragnatela dove finiscono invischiati tutti e ciascuno ottiene la sua giustizia. Un assassino che a meno tre pagine ti piomba nel vuoto e ti sorprende ancora. C'è l'eroe che si tiene per sé quel «giustizia è fatta», e c'è l'assassino per tutti. Va bene così. Senza andare oltre. Debolezze e miserie che vanno a sfumare in un cambio-scena repentino. Il delitto è servito, è esploso in una delicata regia di stili e personaggi che ingaggiano un duello post-moderno.
Il vicolo delle cause perse di Claudio Paglieri Ed Piemme, 430 pagine, 16, 90 euro
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