Pynchon difende McEwan accusato di plagio

Nicola Gardini

Ti accusano di furto, e la tua difesa la fa, non richiesto, il più inarrivabile degli oratori. Sembra una bella favola ma è un fatto di cronaca recente, che ha per protagonisti due celebri nomi della letteratura anglosassone: Ian McEwan e Thomas Pynchon. Sì, proprio lui. Dopo quarant’anni di riserbo (esclusa qualche rara recensione), il leggendario autore di Gravity’s Rainbow esce allo scoperto prendendo posizione contro l’accusa di plagio che un agente letterario, certa Vanessa Holt, ha rivolto una decina di giorni fa a McEwan. La Holt avrebbe scoperto nel romanzo Espiazione (Atonement, 2001) situazioni e dettagli dell’autobiografia di Lucilla Andrews (morta in ottobre a 86 anni) No Time for Romance. McEwan non ha mai negato di aver usato come fonte il libro della Andrews - un libro di memorie di guerra. La Andrews, come numerose altre persone, figura perfino nei ringraziamenti del libro incriminato.
Accuse di plagio sono comuni nel mondo editoriale di lingua inglese. Il plagio, e qualunque forma di infrazione alla verità o al rispetto dell’individualità, scandalizza la mente puritana. Il contatto, per la logica dell’honesty, è sempre sporco. Le accuse spesso nascondono misere intenzioni, un po’ di invidia, o semplice competizione commerciale. Eccezionale è che, in questo caso, si pronunci proprio uno scrittore come Pynchon, con una lettera dattiloscritta inviata al Daily Telegraph. E non per semplice simpatia letteraria. Non si potrebbero immaginare due autori tanto diversi. Possiamo perfino immaginare che a Pynchon i libri di McEwan non piacciano nemmeno. Il punto non è questo. In gioco è una questione ben più seria che una banale condivisione di gusti - ed è la questione della proprietà letteraria. Che cos’è mio quando scrivo? Dove incomincia la creazione? Ri-creare è creare? Forse nessuno come il postmoderno Pynchon ha più titoli per raccontare al mondo che cosa sia scrivere, e quanto lo scrivere abbia a che fare con la scrittura degli altri.
In quella bellissima, inattesa lettera difende prima di tutto l’amore dello scrittore di lingua inglese per le parole della sua lingua. E così la libertà di amare, prima ancora che quella di scrivere (in fondo, scrivendo, non si è mai del tutto liberi, perché non si è mai del tutto soli). Quando mai troviamo nei programmi, negli sproloqui, nelle teorie degli scrittori d’oggi una professione d’amore così semplice e così fondamentale? Già lo diceva Virginia Woolf: le parole ci vengono dal passato, dove hanno contratto strani matrimoni. Nessuno, se per mestiere ha deciso di scrivere, può o deve fare a meno dei libri degli altri - autobiografie, diari, romanzi, poesie.

Espiazione sarà anche un libro imperfetto (e lo è), ma, come dice Pynchon, non bisogna condannarlo: bisogna, invece, essergli grati. Citando chi ci ha preceduti possiamo dire di esserci stati anche noi. E così dopo di noi, altri diranno lo stesso, all’infinito. Citare - o macchiarsi di plagio, come vogliono certi censori - è vivere due volte.

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