Quando Ago e filo spengono i giovani

(...)retorica giovanilistica. Poi, però, quando un giovane o una giovanissima come nel nostro caso, fa qualcosa di originale, ebbene proprio da quelli che invocano un catartico «ricambio generazionale» arriva la bocciatura: perentoria, autoritaria e violenta come nel caso del diktat imposto alla città dall’architetto Gae Aulenti: via dall’Ago e Filo di piazza Cadorna le luminarie progettate dalla studentessa del Politecnico Ginevra Formaglio. E il sindaco, sempre molto sensibile alle pulsioni provenienti dai salotti bene, ha obbedito: «Mi pare che il parere di Gae Aulenti sia più che sufficiente». E invece no, non è affatto sufficiente. Mentre necessario e sufficiente è solo il giudizio - ampiamente positivo, com’è accertato dai sondaggi - dei milanesi; unici, veri ed esclusivi padroni di quella piazza. La celebrata archistar, infatti, non è neppure l’autrice dell’opera «oltraggiata» dalle luminarie, che è firmata dallo scultore Claes Oldemburg. La Aulenti è invece progettista della sistemazione della piazza. Ma questo non le dà alcun diritto sulla sua gestione, neppure dal punto di vista estetico e dell'arredamento urbano.
Perché nessuno eccepisce sulle luminarie della Galleria, monumento di ben altro rilievo? Solo perché il suo autore, l’architetto Mengoni è morto? O della Porta Romana o di altri monumenti della città? Perché all’arroganza della Aulenti viene concesso un diritto di veto? Già ne godono in tanti, forse troppi: dalle varie soprintendenze, alla Veneranda Fabbrica o all’arciprete del Duomo, ai commercianti. Al punto che c’è da chiedersi chi detenga il potere reale di decidere sull’arredo della città. E mi chiedo anche: il risultato sarebbe stato lo stesso se autore della luminaria non fosse una giovane studentessa del Poli ma un altro celebrato barone dell’architettura. Ma forse la signora Aulenti non ricorda le polemiche che accolsero quella scultura, che a molti, anche a personalità non meno autorevoli di lei, non piaceva e non piace. Eppure l’Ago e il Filo è ancora lì. A me e ad altri, più modestamente, invece è sempre piaciuto (e mi piaceva anche la luminaria della Formaglio - forza Ginevra, non farti scoraggiare!) e questo non fa che confermare la relatività del concetto di bello. Del quale gli architetti sono gli ultimi a potersi arrogare l’egemonia: propongo, anzi, all’assessore Finazzer Flory una mostra sulle brutture architettoniche realizzate a Milano dal dopoguerra ad oggi. Titolo: «Mostri in mostra».
Ma il danno peggiore provocato da questa prepotenza sta nel dimostrare con i fatti che tutte quelle storie sui giovani sono chiacchiere e propaganda. La lezione è: basta che un qualsiasi parruccone alzi l’indice e il ragazzo o la ragazza di turno deve chinare la testa e tornare nell'ombra. E invece il criterio dovrebbe essere l’opposto: facciamo fare le cose ai giovani, al massimo, se richiesti, consigliamoli.

E se pensiamo che stiano sbagliando, lasciamoli sbagliare, perché forse hanno ragione loro e comunque è così che si impara. Cosa abbiamo insegnato, invece, a Ginevra? Che la ragione è sempre dei potenti. Non è una bella lezione.

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