Quando gli americani volevano la sfera

Nella terza edizione del libro «Il Caso Zanfretta» di Rino Di Stefano un’appendice con i risvolti internazionali dell’incredibile vicenda

Quando gli americani volevano la sfera

A passi felpati. Da cronista e da uomo di fronte al mistero. Mai scettico, possibilista forse. Gli artigli ben piantati per terra quando il blob si consuma tra metaspazio e ipnosi regressive. Dopo trent'anni Rino Di Stefano, caposervizio nella redazione genovese de Il Giornale, rimette in circolo «Il caso Zanfretta». Una terza edizione, complice la distanza, a scavare su Piero Fortunato Zanfretta, guardia giurata dell'Istituto Val Bisagno, che nella notte tra mercoledì 6 e giovedì 7 dicembre 1978 fu ritrovato in stato di choc nei pressi della villa «Casa Nostra» a Marzano di Torriglia. Disse di avere visto «un essere enorme, alto circa tre metri, con la pelle ondulata, come se fosse grasso o tuta molle, comunque grigia». Che volò via «in una gigantesca luce a forma di triangolo sormontata da lucette di colore diverso».
Il primo degli incontri ravvicinati del terzo tipo. Di Stefano, allora giovane cronista del Corriere Mercantile, te lo dice prima, dopo e durante che sta mettendo insieme solo fatti. Che non gli chiedessero chi ha incontrato veramente Zanfretta, se la sfera esiste davvero, se sull'astronave Piero c'è stato e ha viaggiato sul raggio verde sospeso da terra. Scattano le doppie mandate. Una questione irrisolta, la magnifica ossessione aliena che non raccoglie prove provate, ma si puntella su testimonianze. Perché un'inchiesta dei Carabinieri accertò che ben cinquantadue persone avevano scorto un enorme disco volante volteggiare in quelle ore su Torriglia. Poi c'era la traccia a forma di ferro di cavallo di due metri per tre rinvenuta sul prato dove i colleghi recuperarono Zanfretta.
La notizia sparata sui quotidiani, la paura del ridicolo, quel freno a mano tirato sulla curiosità del dubbio. Di Stefano fa lo slalom tra i colleghi e l'urgenza di sbattere in prima pagina l'ipotesi folle di un uomo. Senza fare troppa pubblicità si porta dietro il fotografo e cerca la traccia. La sosta dal brigadiere Antonio Nucchi sull'attendibilità di Zanfretta, gli indizi a confermare l'ipotesi Ufo, la gente che racconta di avvistamenti, il brigadiere della Finanza Salvatore Esposito che alzando la saracinesca si vide illuminato a giorno, i fari della macchina dell'amico erano spenti e sopra di loro galleggiava un enorme disco volante. Troppi tasselli per mollarla lì.
Il libro viaggia su uno spettacolare collage ad incastro. Di Stefano viene risucchiato nell'ingranaggio. La sua àncora è il dato arpionato agli indizi, il resto è trazione pura nel possibile. Da romanzo. Col fiato sospeso ne assorbi il turbine ipnotico. Scatta la conta del vero - verosimile. Una proiezione da colmare e la linea è impercettibile. Di Stefano funambolo si spinge un po' più in là. La mano aggrappata al protocollo del reale e il labirinto da esplorare. L'articolo può attendere. Troppo cinico vendersi la pelle di Zanfretta per un pezzo gridato. Parla con lui. Dinanzi l'uomo che quella sera non esitò, pistola in pugno, ad affrontare gli intrusi nella villa di Marzano. Poi gli abiti caldi nonostante il freddo pungente. E i segni dell'atterraggio. «Qualcosa di vero doveva esserci - scrive Di Stefano -. Mi stupiva il fatto che quella storia coinvolgesse tante persone comuni».
Di Stefano spinge per sottoporre Zanfretta ad ipnosi regressiva. La tentazione di saperne di più su quella notte. Il medico scelto è lo psicoterapeuta Mauro Moretti. Inizia un rituale che si ripeterà per ogni incontro ravvicinato del metronotte. Il botta e risposta scorre sulla pagina, con Zanfretta che ricostruisce quella sorta di rapimento, l'orrore fisico degli alieni che arrivano dalla terza galassia, che vogliono parlare e torneranno. Sconvolgente. Neanche venti giorni dopo il secondo incontro. Sempre zona di Torriglia. Piero sta viaggiando sulla 127 della Val Bisagno. L'auto va da sola e acquista velocità. Poi lo stop e una gran luce. Scatta l'allarme. Zanfretta verrà ritrovato vicino alla scarpata terrorizzato mentre cercava di scappare. Nonostante il freddo e la pioggia era caldissimo e asciutto. La scoperta attorno alla 127 di orme di 50 centimetri di lunghezza e larghe 20, la vegetazione confinante con l'asfalto sradicata a disegnare un'area a semicerchio di tre metri di diametro.
Mica finita. Sabbie mobili in cui indagare. Di Stefano annota tutto. A non convincerlo sono i tempi: 4 minuti per compiere 4 chilometri di strada stretta e tortuosa in una notte di tregenda. La rifà lui: 8 minuti col bel tempo e di giorno. I livelli di lettura s'intrecciano a forze antagoniste. In crescendo. Urge altra ipnosi regressiva. Elementi nuovi, l'interno dell'astronave, il doloroso casco in testa, il calore altissimo, il dialogo concitato. Secondo Moretti nessuna simulazione: «Resta ovviamente il dubbio: la realtà che lui ha narrato è oggettiva o soggettiva? Devo dire che l'ipotesi di una realtà oggettiva supera la soggettiva».
Di Stefano dà corda per poi ritirarla subito. Facile perdersi. Sette mesi dopo ci risiamo. Zanfretta, in Vespa tra Quarto e Sturla, viene sollevato da una misteriosa luce verde verso l'astronave. Due ore dopo il ritrovamento sul monte Fasce. Di nuovo in ipnosi, la costante ritmica del libro. Saltano le inibizioni e il linguaggio si fa più esplicito. Zanfretta parla di una sfera che gli alieni gli daranno perché lui la consegni ad Hynek, professore di astronomia. Un altro incontro ravvicinato tra il 2 e 3 dicembre ’79. Si perdono le tracce di Zanfretta ad un distributore in corso Europa. I colleghi setacciano le alture poi su Torriglia, dentro ad una nuvola, due grossi fari che li puntano. Poco distante la moto e poi Zanfretta. In ipnosi Piero rivelò che gli alieni erano appena tornati dalla Spagna. Il giorno dopo l'Ansa batte l'avvistamento a Guadalajara (Spagna). Semplice coincidenza? «Tutti avevamo paura di credere ciò che una persona ragionevole non può, non vuole credere».
Ti ripeti che è solo un romanzo. Stai per crederci, macchè, un dato ti schianta di nuovo contro il possibile. Corda tesa e adrenalina. L'incontro successivo fu il 14 febbraio 80, ancora ipnosi. Attraverso di lui parlano gli alieni, come se lo controllassero e nessuno se la sente di dargli del bugiardo. Ritmo incalzante e fiato sospeso. Zanfretta ingrassa di 14 chili e incanutisce. Il quinto incontro «telepatico» il 13 agosto 1980, Piero torna sulle alture di Torriglia, forse a nascondere la sfera affidatagli dagli alieni. L'ipnosi non sortisce effetto. La situazione precipita. Lo sottopongono a perizie psichiatriche e analisi cliniche. Nulla di nulla. Di Stefano mette in pista tutti i testimoni e riporta avvistamenti concomitanti. Contestualizza, accidenti. Butta sul foglio dati, ad inondarti. Ma non prove.
Oggi la nuova appendice. Con Zanfretta che racconta di altri cinque incontri. Con l'ultima ipnosi e la sfera nascosta che Piero deve controllare perché tutto sia pronto quando gli alieni torneranno. Poi più niente, fino all'invito a Tucson nel ’91 per il congresso Mondiale di Ufologia. Di Stefano si porta il metronotte. Qui il contatto con una coppia americana, sedicenti eredi di Hynek. Vogliono la sfera di Piero per realizzare un progetto su scala mondiale. Promettono soldi, tanti, ad entrambi. Forse loro hanno le prove. Zanfretta non ci sta. Altro schianto. Stop. La pellicola s'interrompe. Resta l'enigma della sfera custodita (?) per trent'anni sui monti liguri. A che pro? Zanfretta nel dicembre scorso torna a trovare Di Stefano.

Gli parla di un ceck up che avrebbe rilevato un corpo estraneo dentro l'osso del suo cranio (una prova?). I referti non si trovano. Altro buco nero. Tra la parete e il vuoto, Di Stefano lancia il gancio. Impossibile archiviare la faccenda. Dannatamente impossibile.

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