Gli italiani maschi, si diceva un tempo, parlavano sempre di calcio e politica. Adesso che anche le donne masticano di calcio, gli uomini hanno smesso di parlare di politica. Una conversazione media al bar? Garlasco o il traffico. Una conversazione media al ristorante? Il «lato B» delle miss. Una conversazione nel Palazzo? Tutto ma non politica, please. Si fatica persino a trovare uno straccio duomo che intavoli una conversazione sul Pd, che pure dovrebbe essere una cosa seria per un elettore di sinistra.
Lindicatore più preoccupante della disaffezione degli italiani è che la politica si affaccia nei nostri discorsi solo per parlarne a volte male, a volte malissimo, a volte oscenamente. La cecità del governo, lo spettacolo ridicolo di una maggioranza indecente e indecidente che litiga su tutto e fa pace solo per paura delle elezioni, peggiorano solo le cose. In taxi o in treno loggetto delle conversazioni è chi sta avanti nei sondaggi, quando se ne vanno a casa, tanto non cambia niente, sono tutti uguali, si alzano le indennità e mi tagliano la pensione ma non lIci.
Tutto questo non promette alcunché di buono. Consideriamo la società civile, termine con cui di solito ci riferiamo alla borghesia. La storia italiana insegna che sono i ceti medi a innescare le rivoluzioni. Quando il ceto medio perde la pazienza, il ceto politico deve preoccuparsi seriamente: prima il governo e poi tutti gli altri a seguire, perché il rischio è che lopposizione al governo si tramuti in rigetto totale verso la politica e i suoi protagonisti, un antipartitismo privo di sbocchi, se non il nichilismo di una protesta fine a sé stessa. Le recenti scene di piazza, la borghesia della strada, dei blog, delle telefonate in diretta e delle lettere al direttore mostra che una massa sempre più folta non si auspica più un cambiamento politico radicale, ma chiede di spazzare via i vecchi partiti.
E il ceto medio diffuso, la borghesia che di solito assicura ordine e compostezza, diventa linterprete più fedele e appariscente di questo avvitamento in una spirale di risentimento e rifiuto. Nemmeno gli intellettuali progressisti si azzardano più a sfoderare categorie grintose e laudatorie come i «ceti medi riflessivi» che Paul Ginsborg poneva alla base dei girotondi o gli «intellettuali di massa» che Rina Gagliardi vedeva allopera per smontare il consenso al governo Berlusconi. Oggi lunica borghesia è un gigantesco ceto medio fanculista che oscilla tra disinteresse e disgusto, rassegnazione e disincanto, apatia e sfuriate che hanno trasformato il linguaggio politico, accogliendo la reiterazione della parolaccia come mezzo espressivo dellinsoddisfazione di massa. Limitarsi a seguire la scia del malcontento regala solo consensi effimeri. Se il tessuto della comunità nazionale è lacerato, gli stracci volano in faccia al malcapitato di turno.
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