Quando l’editore si mette a fare l’elogio dell’elogio

Gli sportivi sceglieranno quello di Alì, al secolo Cassius Clay, o quello del Pibe de oro. I maritati quello della suocera, pregustando il piacere di dichiararsene a fine lettura non convinti. Gli orditori di trame esiteranno tra l’infilarsi in tasca quello della bugia o quello della lettera anonima. Mentre i lettori a rischio di dadaismo vorranno impossessarsi di quello del filobus. Sfogliando la collana di elogi pubblicati da Tullio Pironti, libretti di trenta pagine dalla veste curata e il costo fisso di tre euro, non si può fare a meno di congratularsi con l’editore: giacché sarà pur vero, come sosteneva Claudel, che la lode è il primo motore della poesia; ma è indubitabile che nessun genere letterario vanti un campionario altrettanto vasto di forme corrotte. C’è per esempio la lode interessata, quando il lodato ha potere su chi loda; quella ipocrita, allorché si elogiano virtù che non ci si sognerebbe mai di coltivare; e quella egocentrica, celebrante qualità considerate tali solo da chi loda. Si ha lode a specchio se ammiriamo nell’altro esclusivamente le doti che (ma tu guarda le coincidenze!) possediamo anche noi, e anacronistica quando l’elogio tocca meriti caduti in desuetudine, come la castità. La lode autoassolutoria è frequente in situazioni di favoritismo: mai visto un capufficio incensare davanti a tutti il protetto per giustificare le proprie predilezioni? Ma è banalmente autoassolutorio anche il modo con cui madri incapaci di educare lodano figli reduci da una violenza carnale o da una rapina finita male. Il raro panegirico ricattatorio ha lo scopo di costringere chi ne è omaggiato a diventare davvero degno di esso: secondo Cioran era di questo tipo la lode con cui Joseph de Maistre accarezzava il Papa, in realtà sferzandolo. Non si può tacere infine della diffusissima lode mortificante, divisa in due sottospecie: lode infarcita di ingiurie (il cosiddetto «elogio pralinato di merda»: rimarchevole quello che Nietzsche indirizzò a Wagner) e lode umiliante, di tutte la peggiore, stigmatizzata negli anni ’50 da Céline: si ha quando si complimenta qualcuno con un bravo, ottimo risultato, continua così.
Nell’attesa che Pironti mandi in stampa un settimo volumetto, un necessario Elogio del biasimo, godiamoci nel frattempo i sei già in libreria: l’Elogio del Pibe dedicato, va da sé, a Maradona, e il bellissimo Elogio di Alì scritti entrambi da Mimmo Carratelli; ritratti commossi ed epici di due campioni, il primo incapace di governare il proprio successo, il secondo tanto forte da prolungare le vittorie sul ring oltre la propria malattia, fino alla leggendaria notte delle olimpiadi di Atlanta quando raccolse «l’omaggio tardivo del rimorso americano» e con la mano tremante accese la fiaccola. Poi l’Elogio della bugia di Marcello D’Orta, carrellata semiseria sul peccato mortale più diffuso e a detta di molti più vivifico: perché per tenere in piedi le cose un po’ di verità non nuoce mai, ma per tirare fuori l’universo dal nulla ci vuole la bugia, altroché. L’Elogio della lettera anonima di Mauro Giancaspro è piuttosto una garbata novella priva di aspetti laudativi: aspettiamo ancora un vero elogio della lettera anonima. Lo stesso Giancaspro firma anche l’Elogio del filobus, uovo di Colombo della mobilità, mezzo di trasporto perfetto scomparso dalle nostre città per decenni e poi una sera improvvisamente ritornato, per coniugare come sempre la silenziosità del tram con la morbidezza dell’autobus su ruote di gomma. Peppe Lanzetta, più che un Elogio della suocera, ci ha dato un elogio della suocera sua.

Siamo senz’altro nel campo della glorificazione ingiuriosa, ma come dargli torto? «Figliema nun è pe’ vuje, vuje site n’mmo gruosso, jate a spennere a n’altra parte»: ecco il benvenuto con il quale fu accolto il futuro marito. Roba da veterinari, gli alani non devono far coppia con i barboncini...

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