Quando nelle agenzie il viaggio era un sogno

di Tino Mantarro

Era bello entrare in agenzia di viaggi. E non solo perché la signorina seduta dietro alla scrivania avesse gli occhi di un azzurro tendente al verde che era un anticipo del mare che si andava a prenotare. Era bello, perché era come entrare tra le pagine di un atlante. Si andava per acquistare biglietti e si veniva sommersi di cataloghi, descrizioni di alberghi, coincidenze di treni, connessioni di aerei. Nomi esotici facevano capolino sulle pubblicità alle spalle delle agenti: Kenya e Seychelles, Negril e Cancun. Mentre le signorine perché, fateci caso, nelle agenzie sembra lavorano in maggioranza donne passavano ore al telefono a dettare codici che avevano dell'esoterico: ANMXPCDG25AUGAC6. Sul tavolo i modellini dei Boeing sembravano lì apposta per far sognare i bambini: «Un giorno voleremo via». E pazienza se poi si era lì per prenotare la Freccia del Sud fino a Calascibetta, il solo entrare in agenzia era la promessa di una partenza

Racconta la vulgata storica che va per la maggiore che la prima in Italia venne aperta nel 1878 a Milano, in via Dante. Si chiamava Agenzia Chiari e nel 1906, quando in società entrò Giuseppe Sommariva, divenne Chiariva, agenzia diventata tour operator che ha resisto fino al gennaio 2016. Ma prima al mondo questo è assodato l'aprì in Gran Bretagna, a Leicester, il signor Thomas Cook, di professione tipografo. Era il 1841 e Cook, fervente attivista, organizzò un treno speciale per portare un gruppo di giovani a un manifestazione contro l'alcolismo a Loughborugh distante 12 miglia. Fu un successo: viaggiavano in 600, e fu l'inizio si fa per dire del turismo di massa.

Da allora per anni le agenzie di viaggio sono state esercizi commerciali di fiducia, un po' come il medico. Il titolare in genere era un signore che si vedeva di rado, ma il negozio portava il suo nome almeno da due generazioni ed era sinonimo di garanzia. Per costituzione alto, signorile e abbronzato, lo si immaginava perennemente in viaggio, a provare quegli alberghi per cui le impiegate emettevano voucher di prenotazione fantasticando di colazioni e servizi in camera, viste mare e impianto di aria condizionata. Erano poche le agenzie di viaggio. Nel Paese degli ordini e delle corporazioni erano contingentate per legge, come le farmacie: tanti abitanti, tante agenzie.

Ecco, probabilmente sognavano di entrare a far parte di questo mondo i ragazzi in giacca e cravatta ritratti in questa immagine. Siamo negli anni '40, loro sono studenti dell'istituto turistico-alberghiero di Stresa, sul lago Maggiore, che fingono di lavorare nell'agenzia modello costruita dalla scuola. Imparavano a «dare soddisfazione alle esigenze religiose, sportive, artistiche, mondane, colturali».

Accanto, quello che potrebbe essere un elegante docente fa le veci del cliente. Probabilmente anche lui voleva partecipare al viaggio in autobus annunciato da uno dei cartelli: Milano, 22 marzo 1948 rivincita tra Austria e Italia (l'anno prima al Prater di Vienna l'Austria ci aveva battuti 5 a 1). Una partita che non si è mai giocata, ma poco importa. Quel maestro educava i ragazzi a costruire sogni, perché le ferie o le vacanze rimangono una delle poche utopie che ci rimangono nella vita.

Oggi la disintermediazione, brutta parola usata per spiegare la realtà contemporanea del lavoro diventato digitale, appaltato a portali che promettono di mettere gli utenti/clienti in contatto diretto che i fornitori di servizi siano essi hotel, treni o compagnie aeree, ha trasformato le agenzie viaggi.

Tutto si prenota online, dal telefono, grazie a una App, nell'illusione che a far da soli ci si guadagni di certo. Le agenzie non sono del tutto scomparse, sono diventate Olta: Online travel agency. Ma provate voi a scovare il mare negli occhi di una App.

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