Che cosè la letteratura, per un filosofo? Un passatempo, una vacanza, un gioco che allenta le redini al pensiero? Oppure, al contrario, un esercizio di stile e di vita vissuta (in prima, seconda o terza persona) da piegare al regime delle idee? A partire dalle sinfonie classiche, mozartiane, dei dialoghi platonici, per arrivare fino allessenzialità dodecafonica delle asserzioni di Wittgenstein, linterrogativo può reggere e sciogliersi in un profluvio di note a margine, in un commento di sottofondo che avvolge il golfo mistico, come nel Doctor Faustus di Mann.
Ma Carlo Michelstaedter (1887 - 1910, nel tondo a destra, un suo autoritratto), giovane ribelle e insoddisfatto, enfant prodige marginalizzato dalla filosofia del 900, si sottrae allalternativa e va dritto per la propria strada, sulla quale narrazione e speculazione procedono appaiate, nel perfetto sincronismo dei passi. Passi spediti, passi persuasi, non rettorici. Nello scritto La libertà pennella di sarcastico fondotinta il volto truce della sua materia: «Risolvere problemi - scioglier indovinelli - intrecciar paglia a far cappelli - fare gli equilibristi - i funamboli - glistrioni: questa è la filosofia. - Uno lha preso da questa parte il problema della conoscenza? Bestia! Coglione! Bisognava prenderlo dallaltra, cambia nome alla parte, cambia nome al risultato: ecco una nuova scoperta (cest le mot) filosofica. Va! che sei battezzato». Filosofia anti-filosofica o bozzetto impressionista? Poco importa. Importa, invece, e molto, leggere la seconda sezione de La melodia del giovane divino, la raccolta di suoi scritti curata da Sergio Campailla, il maggior esperto del goriziano (Adelphi, pagg. 244, euro 14). Dopo i «Pensieri» e prima delle «Critiche», troviamo infatti nove «Racconti» che puntualmente scandiscono i temi del suo filosofare.
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