Casarsa della Delizia. La mostra L'Academiuta e il suo «trepido desiderio di poesia». Gli anni friulani di Pasolini ci accompagna alla scoperta di un Pasolini meno noto di quanto si possa credere se non addirittura inedito. Poesie a Casarsa potrebbe sembrare il miracolo di un poeta che nasce già maturo, pur scrivendo in una lingua, il friulano, appresa e non parlata dalla nascita. Pasolini, ricordiamo, è nato a Bologna e ha seguito il padre, colonnello dell'esercito, nei frequenti spostamenti nella Bassa. La storia è molto più complessa. Tra il Fondo al Gabinetto Vieusseux di Firenze e quello del Centro Pasolini conosciamo numerose redazioni (sei) di Poesie a Casarsa, stampate in friulano nel 1942 a Bologna. Due manoscritti anteriori alla pubblicazione sono testimonianze dei ripensamenti di Pasolini. Uno reca l'indicazione «Bologna 1941» ed è in italiano. Sull'altro si legge invece «Casarsa-Bologna 1941» ed è in friulano. Il titolo è Poesiis a Ciasarse. Dunque, dobbiamo concludere che Pasolini fosse indeciso tra italiano e friulano. Ce lo conferma una dedica autografa scritta proprio su una copia a stampa di Poesie a Casarsa (Bologna, 1942), copia destinata a un non meglio specificato «Professore». L'esemplare proviene da una collezione privata, e la mostra è dunque un'occasione unica per ammirarlo. Pasolini manifesta una profonda insoddisfazione per le poesie in italiano, che ha scoperto piene di tensione estetica ma vuote di tensione morale. Una delusione, in un momento nel quale il giovane scrittore prova «un desiderio estremo, voglio dire, di liberarmi di ogni zavorra, sentirmi libero e infinitamente solo, abbandonare la vita, il suo falso riso, la sua vile allegrezza, e chiudermi tutto nel cerchio del mio dolore, che, della mia esistenza è l'unica cosa vera e accertata. Tutto il resto è in più, distrae...». Per approfondire, da poco c'è un fondamentale punto di partenza: la nuova edizione di Poesie a Casarsa, a cura di Franco Zabagli (che firma un saggio di 90 pagine, incluso nel cofanetto realizzato dal Centro Studi con Ronzani editore, 2019). Ma intanto già il materiale in mostra chiarisce molte cose. Il dattiloscritto targato Casarsa-Bologna, quello in friulano, mostra cancellature dal significato chiaro: le poesie troppo popolari, come metro e intonazione, sono cassate da Pasolini, che non vuole essere scambiato per un autore di folcloristiche villotte (vedi poesie in questa pagina, tutte esposte in mostra). Poesie a Casarsa è un libro che fonda la tradizione della lirica alta in friulano. A questo proposito, i curatori hanno un'altra carta eccezionale da mettere in bacheca. La tradizione di lirica alta in friulano non esiste, almeno secondo Pasolini. Però si può immaginarne una. Ed ecco il piano dell'opera non realizzata, forse il piano di un semplice scherzo. Pasolini compila due pagine con i poeti in friulano divisi per secolo a partire dal Medioevo. Peccato se li sia inventati tutti, con qualche rarissima eccezione, tra cui un certo Pasolini.
Non mancano pezzi rari, anche se noti, come le edizioni della rivista Setaccio, espressione del fascismo universitario bolognese, con copertine disegnate da Pasolini, collaboratore molto attivo. Oppure gli Stroligut, le riviste, stampate a spese di Pasolini presso San Vito al Tagliamento, dove nascono e si sviluppano molte idee del periodo. Qui trovano spazio anche gli amici e allievi e sodali di Pier Paolo, primo fra tutti il cugino Domenico Nico Naldini. Pasolini, negli Stroligut che in occasione dell'ultimo numero cambiano nome in Quaderno romanzo, prende le misure alla lirica in friulano ma esprime anche convincimenti politici che sono stati un po' rimossi dagli studiosi. In queste pagine c'è il Pasolini autonomista, non ancora convinto dal comunismo. Pier Paolo fu fondatore di un Movimento per la autonomia del Friuli, in mostra possiamo vedere un manifesto elettorale. Il Quaderno offre una antologia di poeti catalani. È una scelta militante. Il risveglio politico della Catalogna, culminato in una richiesta di indipendenza da Madrid, va di pari passo alla riscoperta della lingua catalana. Chiaro che ambizione letteraria e ambizione politica sono già inseparabili nel giovane Pasolini. Aggiungiamo che fu il filologo Gianfranco Contini, ben conscio del significato dell'operazione, a indirizzare il suo discepolo Pasolini verso la poesia catalana. Pier Paolo accantonerà l'esperienza autonomista: un po' perché l'autonomia fu concessa, un po' perché gli sembrava che gli autonomisti fossero reazionari. Ma il punto di vista non è mai stato rinnegato. Pasolini parlerà sempre delle sue città come di «patrie» e non usava mai a caso la parola patria, terrorizzato dal fatto di essere scambiato per il tipo di uomo che era suo padre Carlo Alberto Pasolini. Il centralismo non gli piaceva, era dannoso, Pasolini sapeva che il ricordo delle antiche autonomie è ancora vivo in tutta Italia. Pier Paolo cercò di farlo capire, con pubblici interventi, ai comunisti stessi. Inutilmente.
Ci siamo limitati a pochi accenni di quello che c'è in mostra a Casarsa. Ogni bacheca richiederebbe un articolo a sé stante.
In quella dedicata al teatro, ad esempio, ci sono spunti per mille ricerche, e anche buffe foto che si vedono raramente e solo qui. Questo non è un piccolo omaggio ma una mostra grande per passione e per le nuove prospettive che apre.
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