Nel novembre del 1955 un giovane e furioso critico cinematografico di successo, François Truffaut, decide di incontrare un vecchio collega (così si autodefinisce), Lucien Rebatet. Truffaut ha 23 anni e sale le scale di corsa. Rebatet ne ha 52, ed è infiacchito, nel corpo come nel morale. I due pranzano lungo la Senna, a bordo di un bateau-mouche. Rebatet, più conosciuto per lo pseudonimo di François Vinneuil, dal 1930 ha scritto di cinema per L'action française (sino al 1939) e, a partire dal 1935, per il settimanale Je suis partout. Nel 1941 ha pubblicato un odioso pamphlet, nel quale denuncia la «grande invasione» degli ebrei nel cinema e nel teatro francesi. L'anno successivo è diventato una celebrità con un voluminoso atto di accusa della Francia del Fronte popolare e di Vichy, Les décombres. Convinto sostenitore dell'alleanza franco-germanica, oltreché aggressivo antisemita, Rebatet per questi motivi viene condannato a morte nel 1946 (pena mutata nel 1947 con il carcere a vita). Dal 1952 vive in libertà. Ma è un reietto. Le patrie lettere lo hanno rifiutato, nonostante Les deux étendards, uscito in due volumi da Gallimard nel 1951. François Mitterrand, parlando di questo sterminato romanzo d'amore e metafisica, ha affermato che il mondo si divide in due: chi lo ha letto e chi non lo ha letto. Truffaut, il «giovane amatore», ha deciso di incontrare il «vecchio critico», sfidando le convenzioni.
L'idea di provocare, di scandalizzare, è un tratto essenziale della personalità di Truffaut. Ma c'è qualcosa di più profondo a suggellare l'incontro. Rebatet, piaccia o meno, appartiene ad una delle maggiori tradizioni anticonformiste della cultura francese, che parte con Charles Maurras e arriva agli Hussards. E, a tutti gli effetti, Truffaut è il capofila della critica cinematografica Hussards. Si è da poco imposto nel palcoscenico francese con uno scritto esplosivo, dal titolo Une certaine tendance du cinéma français, uscito nel primo fascicolo del 1954 sulla rivista mensile Cahiers du cinéma. È «un attacco alla baionetta», nel quale Truffaut riscrive la storia del cinema francese. Se il prodotto nazionale è diventato così scadente e ripetitivo, la colpa è di registi per nulla coraggiosi e sceneggiatori impegnati a «inventare senza tradire», che privilegiano la parola sull'elemento visivo. Il regista alla fine si riduce ad una presenza insignificante: un prestatore d'opera, pagato per realizzare soltanto belle inquadrature. Truffaut ha l'idea geniale di riadattare, alla metà degli anni Cinquanta, la querelle già proposta dagli scrittori romantici del XIX secolo, tra «antichi» e «moderni». Per il «Rimbaud della critica» la polemica rappresenta quasi una «esigenza morale». Ma ha bisogno di una tribuna adatta per diventare lo «stroncatore del cinema francese», l'uomo più odiato di Parigi, una sorta di terrorista in perenne movimento.
La tribuna adatta per far esplodere il talento di Truffaut è Arts, la vetrina settimanale degli Hussards, fondata nel 1952. Nel 1954 il nuovo direttore è Jacques Laurent, a caccia di giovani talenti anticonformisti da gettare nella mischia. Se Breton è il papa del surrealismo e Sartre dell'esistenzialismo, Laurent lo è degli Hussards. Apre le porte della rivista agli scrittori emarginati dopo la Liberazione: Jacques Chardonne, Paul Morand, Marcel Jouhandeau, Marcel Aymé, Henry de Montherlant. E allo stesso tempo promuove i nuovi scrittori ostili all'impegno politico a sinistra: Roger Nimier, Michel Déon, Antoine Blondin. Il termine Hussard (ussaro, militare) è mutuato dal romanzo di Roger Nimier Le hussard bleu (1950). Sul piano letterario gli Hussards si oppongono alla «dittatura sartriana». La letteratura, come la intende il filosofo diventato intellettuale mediatico, viene mescolata all'impegno politico (marxista) e metafisico (esistenzialista). Ad aprire il fuoco contro gli Hussards è Les temps modernes. La testata di Sartre analizza in un ampio saggio del 1952 il risveglio intellettuale fascista. Il seguito degli Hussards, turbolenti reazionari, è un segno preoccupante: «Come tutti i fascisti scrive Bernard Frank detestano discussione, lungaggini, idee». Truffaut collabora con il settimanale dal febbraio 1954 al dicembre 1958, scrivendo 460 articoli, raccolti da Gallimard in Chroniques d'Arts-Spectacle 1954-1958 (528 pagine, 24 euro). Per chi vuole comprendere la cultura francese, non solo cinematografica, degli anni Cinquanta del XX secolo, ritenuta erroneamente dominata da Sartre e dai suoi imitatori, un vuoto viene riempito. Di Truffaut sono stati celebrati soprattutto gli scritti apparsi sui Cahiers du cinéma. Su quelli di Arts si è preferito sorvolare, altrimenti l'icona dell'artista di sinistra che nel 1968 fa chiudere il Festival di Cannes e nel 1960 firma il Manifeste des 121 in favore dei soldati disertori in Algeria ne esce sporcata. La collaborazione con Arts iscrive di diritto il giovane critico nel panorama della destra letteraria. Gli avversari etichettano Truffaut come fascista, disimpegnato, provocatore di destra.
Il suo stile nervoso e aggressivo esalta il cinema francese degli amati Jean Renoir, Sacha Guitry, Max Ophuls, Robert Bresson. Detesta senza mezzi termini Jean Delannoy e Claude Autant-Lara. Difende Roberto Rossellini. Refrattario ad ogni messaggio ideologico, alle produzioni sovietiche preferisce i film americani, anche di serie B. Sostiene i giovani registi Alain Resnais, Agnès Varda e soprattutto Roger Vadim. Quando nel dicembre 1956 esce Et Dieu créa la femme è fra i pochi a difenderlo. Brigitte Bardot gli appare magnifica, in un film tipico «della nostra generazione perché è amorale (in quanto rifiuta la morale corrente e non ne propone nessuna altra) e puritano (in quanto è cosciente di questa amoralità e se ne inquieta)». Unico neo di questa splendida pubblicazione è la nota introduttiva di Barnard Bastide, un lungo esercizio di equilibrismo per non affrontare il vero nodo della raccolta.
François Truffaut dalle colonne di Arts edificò, mattone dopo mattone, una critica di destra estrema o meno poco importa della cinematografia corrente, di grande qualità stilistica, lontana dalle mode imperanti. Ma da un libro non si può avere tutto.
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