Quanti partiti che non nascono mai

Dai vescovi agli industriali: le lobby promuovono nuovi soggetti politici. Ma nessuno ha un vero progetto

Quanti partiti 
che non nascono mai

Se in questi giorni vi capita di andare a Montecitorio osservate lo sguardo incerto degli onorevoli. Stanno tutti lì, chiacchierando alla buvette o fumando nel cortile davanti al Transatlantico, con un punto interrogativo sulla testa e un po’ di angoscia nel portafoglio. Il motivo è che non sanno cosa fare. Non decifrano l’orizzonte e quindi stanno impalati ad aspettare un segno. Non sono preoccupati per il futuro dell’Italia, molto più cinicamente si chiedono da che parte andare quando questa legislatura finirà. Qualcosa infatti hanno capito. In qualche modo, se sperano di salvare uno straccio di candidatura, devono riposizionarsi. Il problema è capire dove.
Ascoltano. Cercano di capire questi nuovi soggetti politici di che pasta sono. Voci nebulose. Ma come fai a ignorarle? C’è il rischio di arrivare tardi o prendere l’autobus sbagliato. Quando, per esempio, il cardinale Bagnasco lancia segnali di una nuova stagione cattolica cosa ha in mente? Qualcuno, magari vicino a Casini, immagina una sorta di nuova Dc. Ma è anche probabile che il «partito dei vescovi» sia una lobby trasversale che si riconosce in certi valori. La differenza non è da poco. Nel primo caso bisogna correre al centro, nell’altro organizzarsi per fondare dei club che si presentano alle primarie di questa o quell’altra coalizione. Tipo. Formigoni sta qui, i prodiani stanno lì e mettono in piedi un «compromesso storico» per spartirsi valori e interessi da buoni amici. Il problema è interpretare la lingua dei prelati e scommettere sullo scenario più realistico. Ma i vescovi quando parlano di politica di cosa parlano?
In questo tempo lento e indecifrabile si parla di partito dei vescovi, di partito (o partiti) degli industriali, di partito dei giusti, di partito dello Stato, di partito di piazza, di rete o di quelli che sono visceralmente indignati, ma alla fine tutto resta molto nebuloso. Questi grandi e nuovi soggetti politici di che materia sono fatti? Non sono fatti di sogni, ma di vaghe ambizioni o di interessi da difendere; qualcosa a metà tra le lobby e i sindacati, tra le corporazioni e frattaglie della prima repubblica. Se ne parla tanto, ma l’effetto è un po’ simile a quella repubblica delle fondazioni che doveva sostituire i partiti. Stanno ancora lì, come scatole vuote, come i mille e passa canali del digitale terrestre o del satellite. Quando apri il guscio, nella maggior parte dei casi, ci trovi solo roba vecchia, televendite e chat erotiche. Non ci sono contenuti. Non c’è un’idea. Non c’è un progetto. Qualcuno ha capito cosa vogliono gli imprenditori? Montezemolo sta ancora decidendo quando e come scendere in pista, Profumo ha fatto capire che si sta annoiando e non vuole sentirsi disoccupato, Della Valle scrive a pagamento una lettera su tutti i giornali per dire «tutti a casa», la Marcegaglia spera che qualcuno ci trascini fuori dalla crisi. Tutti insieme al massimo possono fondare il «partito della patrimoniale», ma forse non serve a creare un’identità politica.
La parola d’ordine è ricostruire il Paese. Ma come? Non basta sacrificare il capro espiatorio per riottenere la benevolenza degli dei. Sarebbe troppo facile. C’è qualcuno di questi grandi partiti embrionali che ha la forza e il coraggio per fare le riforme? E quali? Quali sono le riforme del partito dei vescovi? La sinistra davvero è convinta che il futuro migliore assomigli alle nostalgie stataliste di Vendola? Cosa c’è dopo l’indignazione degli indignati? E quale democrazia ci lascia in dote il giacobinismo degli intellettuali moralisti e la supplenza politica delle procure?
Tutti questi soggetti politici «fantasma» si presentano al pubblico come campioni dell’anti casta.

Ma davvero sono questi il nuovo? O sono volti con le solite rughe che si stanno cambiando d’abito? A guardarli bene sono la stessa classe dirigente di ieri che non vede l’ora di spartirsi lo spazio politico del post Cav. Una santa alleanza tra spezzoni di vecchi partiti, sindacati e capitali, officiata dalla Chiesa, per uscire dal berlusconismo. L’inganno in fondo è tutto qui: raccontarsi cose vecchie con il vestito nuovo.

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