Dal Queens agli Oscar: le foto di una vita da film

Benedetta sia l’asma, una volta tanto. Già, perché l’allora adolescente Martin Scorsese, per anni tormentato dalla difficoltà di respirazione, dovette rinunciare agli sport che più amava per ripiegare sulla passione numero due, il cinema. Come ricorda lo splendido volume Scorsese on Scorsese (Cahiers du Cinema, euro 59), oltre trecento pagine di confessioni e foto, che ripercorre una vita dietro la macchina da presa. Si vede che la sofferenza l’aveva scritta nel destino, lui nipote di immigrati siciliani, sbarcati ai primi del Novecento nei Queens newyorchesi. Dapprima dunque l’infanzia precaria, comune del resto a legioni di immigrati, poi l’amarezza professionale, che alla lunga si trasformò in un incubo. Incredibile, uno dei più grandi registi cinematografici, esaltato in contemporanea da critica e pubblico, l’Oscar non riusciva proprio ad acchiapparlo.
Fu una lotta estenuante e impari, da una parte il poliedrico autore, in pista, ventisettenne, fin dal 1969 con il dimenticabile Chi sta bussando alla mia porta?, dall’altra i giurati dell’Academy Awards, che la statuetta gliela facevano sparire di sotto il naso, come i magliari delle tre carte, quando l’ormai non più giovane Martin era convinto di averla tra le mani. Vedi Quei bravi ragazzi, L’età dell’innocenza, Casinò, Gangs of New York, The Aviator. Dagli e ridagli, Scorsese riuscì a farcela, quando forse non ci sperava più e, manco a dirlo, non certo con la sua opera migliore. L’anno era il 2006, il film The Departed, a cui i titolisti italiani appiccicarono anche l’inutile postilla Il bene e il male, come se lo spettatore non ci arrivasse da solo. Sempre meglio comunque un tardivo risarcimento che il beffardo Oscar alla carriera, cinica epigrafe in finto oro ai morituri.
Non era quindi il caso dell’arzillissimo Scorsese, che alla soglia dei settanta è ancora un vulcano di progetti e di cui sta per uscire Hugo, ambientato nella Parigi degli anni Trenta, e, hainoi, in 3D. Eh sì, anche lui si è convertito alla nuova, triste moda, che obbliga il pubblico a un indesiderato sovrapprezzo.
Tirando le somme, ventidue film in quarantadue anni sono media eccellente, se si guarda prima di tutto alla qualità di quanto prodotto. Oltre che diretto e interpretato, verrebbe da aggiungere. Scorsese infatti è stato il produttore di svariate pellicole di cui non era il regista, l’ultima delle quali l’ottimo serial poliziesco per la tv Boardwalk Empire, ricoperto di numerosi, meritati premi.
Infine guai a tralasciare lo Scorsese attore, mica come Hitchcock che appariva il tempo di salire sul bus o attraversare la strada.

No, Scorsese ha partecipato a diversi film in ruoli defilati, ma di qualche rilevanza, tipo quelli di Round Midnight di Tavernier o di Quiz Show di Redford. Recitando, nella parte di se stesso, perfino in Il pap’occhio di Arbore. Una licenza, mica tanto poetica, che a un grande si può perdonare.

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