Quegli affreschi poetici della Milano del Seicento

Tornano, con la cura di Isella, le «Rime» di Carlo Maria Maggi

Si usa, l’aggettivo meneghino. È l’abitante di Milano. E anche il suo dialetto è meneghino. Il panettone è il dolce meneghino per eccellenza... Pochi ricordano però che Meneghino (da Menigo, Domenico) è un personaggio teatrale, la maschera milanese viva all’epoca della Commedia dell’Arte. E Meneghino è protagonista di commedie dialettali di Carlo Maria Maggi, in qualche modo l’iniziatore della tradizione letteraria in dialetto della città di Milano.
Siamo in pieno Seicento, un secolo oscuro e difficile. La Controriforma, uscita dal Concilio di Trento, sta imperversando nell’Europa cattolica. La severità diventa austerità e intolleranza, tanto che persino il sorriso e l’ironia sembrano banditi dalla vita. Una vita tutta in dialetto, perché il milanese era la lingua di tutti, poveri e ricchi, colti e ignoranti. Maggi si è fatto portavoce della gente silenziosa.
E oggi le sue Rime milanesi, sono state ripubblicate a cura di Dante Isella in edizione Garzanti (euro 9.50). Dando ragione, con un accurato apparato critico, delle lezioni pervenute attraverso le edizioni di Sette e Ottocento, lo studioso focalizza l’attenzione sui contenuti privilegiati dal Maggi e sulla scelta linguistica. Piccoli ritratti, garbati componimenti di occasione o di accompagnamento a regali presentano un’immagine viva e pacata della società secentesca. O meglio di intimità familiari che appaiono fuori dal tempo, eterne. Il consuocero viene invitato a cena prima del battesimo della nipotina, così Maggi spera di alleviare un po’ la delusione per il mancato arrivo di un desiderato erede maschio. Un cesto di frutta è fatto recapitare alla figlia monaca, con cui l’autore ha sempre mantenuto un rapporto privilegiato, per l’amore per la poesia condiviso dalla giovane donna. La scelta del dialetto è quasi un segno di ravvedimento, dopo la produzione barocca giovanile. Dopo poesie in cui è stata la fantasia la vera musa ispiratrice, dove la ricerca della metafora inattesa, dell’immagine sorprendente infiorettava i versi, nella seconda parte della sua produzione Maggi, peraltro già convertito a una più composta poesia prearcadica, sceglie di guardare alla sua città. Nasce così il personaggio di Meneghino e gli altri delle sue commedie, come Tarlesca o Beltramina. Poi arriva l’epoca delle poesie. Intime, colloquiali. E ancora il dialetto. Il risultato, a più di tre secoli di distanza, è ancora emozionante. E per gli scrittori venuti dopo, un esempio imprescindibile.

Il debito di un Porta, di un Tessa (ma Isella cita anche Dossi e Gadda) è grandissimo con questo padre della poesia milanese. Un poeta che ha mostrato come il dialetto, lingua musicale per definizione e naturale per inclinazione, può essere uno strumento poetico quanto e più della lingua ufficiale.

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