Quegli irripetibili anni Settanta «quando andavamo all’Instabile»

Che bel regalo avete fatto, amici Franco Faloppi e Mario Bottaro, ai genovesi che hanno amato quegli anni Settanta, realizzando il vostro bel volume: «...e alla sera andavamo all’Instabile». Che piacevoli ricordi, che belle pagine con i protagonisti di allora che fecero divertire e vivere le notti della nostra città. Già, Genova di notte. Chi l’avrebbe mai immaginato? Eppure in quegli anni la città viveva intensamente, locali, discoteche, night club, piccole böite, un mondo ricco, in movimento, anche un po’ peccaminoso. Furono, forse, gli ultimi anni nei quali Genova riuscì a divertirsi, avendo un suo fascino anche notturno e facendo vivere le ore piccole con infiniti motivi di attrazione. Fra questi, c’era l’Instabile. Già, questo «tabernacolo dell’onesto peccato» dove si incontravano attori, attrici, cialtroni, finti artisti, belle ragazze alla ricerca di un sogno, ma tutto in un clima di piacevole divertimento. Tutti con la voglia di passare qualche serata in allegria, certamente fra calici di buon vino, anche con qualche forte ubriacatura, ma con quanta voglia di vivere! Faloppi e Bottaro hanno raccontato davvero con stile e grande gusto quegli anni, le pagine di Mario sulla Genova di allora, culturale, politica, sociale, economica, Franco entrando nei «localini», nei pub, e soprattutto nell’Instabile. E allora ecco la lunga fila di nomi e di cognomi che hanno vissuto quell’epoca, le hanno dato immagine e spessore. Grandi e piccoli, bravi e meno bravi, futuri artisti di successo e povere anime sperdute in un sogno mai realizzato.
In primo piano, lui, Pierluigi Delucchi Dagnino, uomo di cultura, costretto a distribuire giornali, ma reazionario e ricco di voglia di rinnovamento: perché i soldi dovevano andare tutti allo Stabile? Possibile che non ci fosse un’alternativa? Ed ecco il megalomane Pier lanciare l’Instabile (mai parola fu più appropriata...). Eccolo prima in una sola stanza di corso Europa, poi in due stanze in via Zara e infine in uno spazio accettabile in via Trebisonda. E fu qui che esplosero i nomi più significativi: come dimenticare lo stesso Antonio Ricci (un fallimento il suo exploit come attore-cantante), quello di Grillo che per altro aveva già debuttato al «Caladium» presentato dall’indimenticabile Marcello Ulivi. Ed è qui in via Trebisonda che arrivarono persino i tre dell’allora «La Smorfia» con Troisi in testa e su quella piccola ribalta ottennero applausi e anche mazzi di rose, i Disfartisti, Franco e Mimmo, Braschi (poi esploso a «Drive In» come paninaro). Chi scrive ha vissuto quegli anni dentro quello scenario e ringrazia gli amici autori di averlo citato come protagonista televisivo di quegli anni: per questo ho trovato il libro bello e commovente, scritto con grande amore e con una infinita nostalgia di quei tempi. Ma che Genova era quella? La racconta molto bene Mario Bottaro: un periodo pieno di speranze, di illusioni, di tensioni. Chi aveva vent’anni o poco più poteva coltivare progetti per il futuro, avere aspirazioni di un lavoro che fosse stabile e possibilmente quello desiderato, cercare un appartamento dove andare a vivere da solo, farsi crescere i capelli e immaginare un possibile percorso di vita. La notte faceva parte di queste conquiste e in molti casi costituiva una sorta di cesura con il giorno fatto di ufficio, o di fabbrica o di negozio, ma fatto anche di quella politica che incontrava, giorno dopo giorno, il terrorismo. Genova aveva iniziato gli anni Settanta, ricorda Bottaro, in modo molto presuntuoso, aveva superato gli ottocentomila abitanti, c’era in ballo un piano urbanistico che prevedeva una città di oltre un milione di abitanti, il porto sembrava uno spazio dai cui tutti potevano e dovevano transitare, le aziende a partecipazione statale apparivano come una sicurezza occupazionale eterna. Genova era città di operai e camalli, non si voleva che diventasse una città di «camerieri» e si pensava che il centro storico diventasse una grande realtà culturale e turistica.
E, appunto, in questo scenario, c’era la «Scuola genovese del cabaret» che, come la scuola dei cantautori, non era una scuola, ma una coincidenza felice. Già s’è detto dei vari «momenti» della vita dell’Instabile, ma certo quando in via Trebisonda nacque la indimenticabile «Cantina cabaret», allora davvero si vissero notti folli. Già allora si poteva considerare quei protagonisti come «gli amici della notte» di Renzo Arbore, arrivati qualche anno più avanti. Nomi indimenticabili: Pino Barca in primo luogo, omino piccolo con pochi capelli, diceva di fare lo stilista, vendeva cravatte di seta, usava macchinoni pazzeschi, raccontava le sue esperienze da pugile, ma soprattutto componeva e cantava. Il suo cavallo di battaglia era «L’incavallata» seguita da «Ti metto alla caprina» e ancora «L’imparpagnata» e «Piedi da professore». Gli applausi spaccavano le piccole volte antiche della Cantina. E chi dimentica Rio, Ramon (specializzato in «Maledetta primavera»), il Conte Cocuzza (oggi tornato a fare il sarto) e attorno a loro il sornione e batterista Sandro Macrì. Lì nacque il «Festival dei pazzi», ideato da Paolo Vitiello (oggi gestisce un piccolo ristorantino in Valbisagno dove canta canzoni solo genovesi) personaggio estroso, geniale, ex comandante di velieri. Erano tutti personaggi che Arbore, li avesse conosciuti allora, avrebbe anticipato il suo spettacolo notturno. La «Cantina» era gestita da Sergio Porrata (e dalla consorte Doris) titolare anche del bar d’angolo, ma anche desideroso di fare una carriera politica (finita malamente). E da lui arrivarono i personaggi più stravaganti, da Dino Destito (detto «Tatillo») cantore alla Villa, Pino Cocchiglia, manager diceva lui di alto livello, Pigiamino che per recitare i suoi versi (era un poeta della notte) si svestiva e indossava appunto un vero pigiama, i maghi, da Roland a Adam (quest’ultimo guidatore dell’Amt) e una sola donna Rosalba Signorino, un po’ Milly, un po’ Vanoni. Insomma questo ed altro che troverete nelle pagine del sontuoso e dettagliato volume dei ricordi, era l’Instabile. Che, ripetiamo, rappresentava il punto di riferimento di una Genova, che comunque, aveva anche una vita serale intensa con tanti altri locali e tante altre occasioni di relax.
Il piano bar era al suo apice, con il nome più sontuoso: quello di Metodio, «Da Simona» il ristorantino di Capolungo dove si ritrovavano i grandi attori di allora, da Lionello a Rossella Falk, da Monica Guerritore a Luigi Vannucchi. E poi i night club che diventavano anche locali per «famiglia» (dal Caprice all’Astoria) e i pub, fra tutti il «Ragno verde» di via Buozzi dove mangiavi i più «alti»... (quattro strati) tramezzini del mondo.

Potremmo continuare per pagine e pagine, ma preferiamo leggiate il libro: qui vi abbiamo dato un flash di quella Genova degli anni Settanta dove uno dei luoghi più significativi era appunto l’Instabile, un posto per molti considerato «sacro», per altri un momento felice della propria vita, per altri ancora solo un soffio di nostalgia, per altri infine (e diciamo di tanti artisti ricordati) un vero trampolino di lancio verso il successo. Comunque e sempre un «posto» che è rimasto nel cuore di tutti noi, di tutti quelli che uscivano di casa perché «alla sera andavamo all’Instabile...».

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