Quegli sfascisti che tifano contro l'Italia

Di fronte al conflitto e all’emergenza sbarchi c’è chi gode a vedere nero. Perché non pensa al Paese, ma solo al proprio mondo di certezze perdute. Ogni problema è un’arma da usare contro il premier, ogni guaio è l’occasione per brindare al peggio. Anziché impegnarsi per ricostruire il nostro orgoglio, si fa a gara ad azzoppare chi cerca di costruire un futuro

Quegli sfascisti che tifano contro l'Italia

Italia anno zero. Qualcosa si è rotto nella cultura e nel sentimento di questo Paese.C’è sempre più la tentazione di gio­care al ribasso, una sorta di vittimismo, che ci porta a vedere tutto più nero del nero. È la vittoria degli apocalittici e di chi sembra quasi tifare per le catastrofi. La guerra in Libia non fa bene a nessuno. Fin dall’inizio si è capito che comunque sarebbero andate le cose il conto sarebbe stato negativo. Lo sapeva il governo. Lo sapeva l’opposizione. Solo che non farla forse sarebbe stato peggio. Il dilemma era come fermare Gheddafi che stava massacrando i suoi avversari. La coalizio­ne dei «volenterosi», coperta da una riso­luzione Onu, ha scelto d’intervenire. L’Italia poteva restare fuori, ma in quel caso si sarebbe ritrovata da sola a gestire l’emergenza della grande fuga dal nord Africa. Non solo Berlusconi, non solo Frattini, anche il Pd parlava di male mino­re.

La speranza è durata un attimo: tutti insieme di fronte all’orizzonte di guerra. Niente. Non fa per noi. La speranza non piace agli apocalittici. Il presente deve essere per forza nero e berlusconiano, il futuro lontano. Nel frat­tempo tutto fa brodo per stracciarsi le ve­sti di fronte a questa Italia stracciona e meschina,maledetta e sull’orlo del bara­tro. Bisogna buttare secchi di pessimi­smo per rendere la notte ancora più buia e il domani in cancrena. Ogni occasione è buona per vestirsi di nero. Quello che sta accadendo a Lampedusa non è inatte­so. La Sicilia è l’altro fronte della guerra. Non cadono bombe, ma si ha a che fare con le conseguenze di quelle bombe. È la massa di chi fugge per paura, per fame e perché nella tragedia vede anche l’oppor­tunità di intraprendere quel viaggio che sognava da tempo. Ci sono profughi, di­sperati, lavoratori e potenziali clandesti­ni. Tutti oltre il Mediterraneo, tutti in Ita­lia, per poi cercare di andare verso Nord, magari oltre le Alpi. Ma il fronte è qui.

Co­sa si fa? La soluzione non sta nelle parole spicce di Bossi: « Fora dai ball ». Ma nep­pure nelle prediche catastrofiche di Ber­sani, che scimmiotta male gli anatemi del partito degli apocalittici e il suo vange­lo, cioè Repubblica . L’emergenza non si risolve in un pomeriggio. Il resto d’Italia deve fare la sua parte, poi il problema ri­guarda tutta l’Europa. E questo è un di­scorso che le forze politiche italiane devo­no fare compatte con Francia, Germania e Inghilterra. Senza divisioni. La questio­ne immigrazione non può diventare lo strumento per delegittimare Berlusconi all’estero. Il sospetto è che finirà così. L’Italia che sta fuori dal vertice a quat­tro fa brindare gli apocalittici. Non pensa­no che qualsiasi altro governo si sarebbe trovato nelle stesse condizioni, perché purtroppo Roma conta meno di Parigi, Londra e Berlino. Quel sorriso di sottile piacere che si vede in certe facce non ser­ve a nulla. Dovremmo invece chiederci come lavorare per ricostruire il nostro or­goglio e il nostro ruolo.

E l’impresa non è facile. L’impressione è che questa cappa apo­calitt­ica non sia neppure più legata al ber­lusconismo. All’inizio magari era così. Il ragionamento funzionava più o meno co­sì. Questa Italia non ci piace, ci fa schifo e allora pur di far cadere il Cavaliere siamo disposti a tifare per il peggio. Via lui, un Draghi o un Monti avrebbero rimesso le cose a posto. Lo spirito nero comincia ora a ragionare da solo. Va per conto suo. Se ne frega perfino del premier. Si crogio­la nella catastrofe. Le disgrazie lo conso­lano. Si fa a gara per annunciare la fine del mondo o per azzoppare tutti quelli che cercano con fatica di costruire un fu­turo. Il terremoto in Giappone diventa apocalisse nucleare. Gli sforzi di Mar­chionne per ridare un destino alla Fiat non piacciono a chi vuole a tutti costi iber­narsi nel Novecento. Tutti parlano di fu­turo, ma appena rischia di arrivare c’è un’élite di nostalgici che lo maledice. È un paradosso, ma nasconde un senti­mento terribilmente umano. Gli apocalittici sono vecchi. E dalle lo­ro tribune, giornali e televisioni, bestem­miano contro il tempo che passa. Il loro mondo è crollato decenni fa, ma questa è una realtà che non sono mai riusciti a di­gerire del tutto.

Si vedono all’interno di una torre e guardano oltre le feritoie e quello che vedono è solo un’orda di bar­bari, che disprezzano e invidiano.

Invi­diano la loro giovinezza. Ogni tanto fan­no entrare nella torre qualcuno di quei giovani, lo cooptano, come è successo a Saviano. A tutti gli altri tolgono speranza. Gli apocalittici non vogliono che ci sia un futuro dopo di loro.

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