«Della scuola subito dopo il 1931 anno IX dell'era fascista - avevamo tutti un grande bisogno. Avevo appena terminato la prima elementare e desideravo proseguire ma non mi era possibile. I miei genitori pensarono di pormi in collegio e così fecero. Al collegio, l'estate di quell'anno, mi mandarono alla colonia elioterapica di Guastalla (Re). Tutto consisteva in qualche baracca di legno tra i pioppeti, i bagni nel fiume e i giochi all'aperto. Io provai un grande dispiacere per essere lontana dalla famiglia, ma soprattutto ero a disagio perché i monitori ci facevano stare coi maschi mentre a scuola ero abituata nelle classi separate.
La nostra colonia era intitolata alla Regina Margherita di Savoia, che morì nel 1926, poverina. Quando eravamo discoli, gli adulti ci dicevano che sarebbe arrivato Roberto Farinacci in persona, a nome della Federazione Fascista, a redarguirci. Al mattino facevamo l'alzabandiera alle 8.30, cantavamo «Giovinezza», facevamo Cultura Fascista, poi ginnastica. Successivamente pranzavamo, facevamo un riposo pomeridiano e poi stavamo sul Po a giocare in gruppo sulla sabbia. Nelle preghiere si ringraziava sempre il Duce. Mi ricordo che il custode della colonia si chiamava Bigio. «Attenzione, Bigio in direzione, attenzione, Bigio in direzione», gracchiava continuamente l'altoparlante. Lo chiamavano mille volte al giorno. D'estate diventava una larva, lavorava senza sosta e senza risparmiarsi. Magro ma robusto, gran lavoratore, d'inverno rifioriva, secondo le parole della moglie.
A Ferragosto si festeggiava la Giornata delle colonie. Proprio quel giorno Bigio ci trasportò, a gruppi di venti, fin dalla mattina, in barca a fare un giro da una sponda all'altra del Po. In quell'occasione il maestro Teldini suonò l'armonium. Nel pomeriggio però, all'ultimo giro, il custode Bigio cadde dalla barca. Lo vidi annegare in acqua senza avere la forza di aiutarlo. Ci furono minuti concitati, non so se qualche adulto abbia cercato di aiutarlo, però so che quel giorno per la prima volta vidi un uomo morto steso sulla sabbia. Era gonfio come la vescica di un pesce. La faccia marrone. Studiai con amore. Riuscii ad ottenere la licenza Magistrale. Ero cioè finalmente maestra elementare come desideravo da tempo.
Con grande amore mi misi a insegnare ai bambini, anche se mi furono assegnate due classi contemporaneamente. Con loro ero felice.
Lavorai contenta per circa trent'anni in una frazione di Poggio Rusco, paese natale di Arnoldo Mondadori, chiamata Quattrocase, che poi fu chiusa perché povera di alunni. La ricordo con affetto, quasi fosse una cosa cara per me. Gli scolari mi volevano bene. Che gioia mi recaron».
Calavezzi Rosa
Con
distinti ossequiP.S. Perdoni la mia scrittura misera perché causata da una grave scottatura mi sono rovinata la mano destra. Nella foto io sono quella di fianco alla monitrice con l'ombrellino, ma non mi si vede il viso.»
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