Secondo la tradizione, Euripide nacque a Salamina nel 480 avanti Cristo, nel giorno della celebre battaglia navale in cui le poleis greche sconfissero la flotta dell'imperatore persiano Serse. Se la verità sulla nascita del drammaturgo greco è avvolta nel mistero, così non è per Jean Yves, partorito con l'aiuto di un soldato americano nascosto per sottrarlo alla caccia dei nazisti. Simile è la storia di Rèmi, neonato sopravvissuto per miracolo al crollo dell'ospedale di St. Lo bombardato dall'aviazione alleata. Rocambolesca come quella di un altro Rèmi, appena venuto al mondo e scampato alla morte insieme alla famiglia grazie all'intervento dei paracadutisti. Bambini che hanno in comune la stessa data e il medesimo luogo di nascita: Normandia, 6 giugno 1944.
Epopee di vita ordinaria che si intrecciano con la grande storia del D-Day, studiata sui manuali scolastici e immortalata in innumerevoli pellicole cinematografiche. Vite, quelle dei bimbi sconosciuti nati al fronte, che diventano avventure sin dalle prime ore, quando la guerra porta la prima linea fin dentro casa. Vicende che si pensavano dimenticate e che ora tornano a vivere grazie al progetto della foto-giornalista francese Lou Benoist: ricostruire la memoria dello Sbarco attraverso le storie personali dei neonati venuti al mondo in quel giorno decisivo per le sorti della Seconda guerra mondiale.
A pochi giorni dal 75esimo anniversario, un'illuminazione che ha portato a un progetto: l'idea di onorare il «dovere della memoria» raccogliendo le testimonianze dei «figli» del D-Day.
«Chi è nato in quel giorno è segnato per sempre: si porta dentro un'eredità da trasmettere - spiega Benoist, freelance 29enne formatasi lavorando a France Press e quindi nelle testate locali -. Come giornalista nata e cresciuta in Normandia avverto la necessità di tenere in vita le storie dei civili durante la guerra; quando sono diventata madre, due anni fa, mi sono chiesta come sarebbe stato difficile partorire in mezzo alle bombe». La ricerca non è stata semplice, fra atti di nascita spesso irreperibili e autorità civili impegnate nelle celebrazioni «ufficiali» della ricorrenza. Un aiuto insperato, però, è arrivato dai social network: grazie a internet diverse persone hanno contattato la reporter per un incontro. Così è iniziato un vero e proprio pellegrinaggio laico nella memoria, le cui tappe si susseguono fra documenti ingialliti coperti di polvere e foto sbiadite conservate in vecchie scatole di latta.
Tutti gli intervistati - che oggi hanno passato l'età della pensione - sono nati nelle immediate vicinanze delle spiagge dello sbarco. Alcuni nacquero negli stessi istanti in cui altri membri della loro famiglia morivano a pochi chilometri di distanza. L'intera regione costiera fu investita in pieno dalla violenza degli scontri. Il successo o il fallimento dell'operazione, volta ad aprire un secondo fronte in Europa, era cruciale tanto per gli Alleati quanto per i tedeschi: per questo i combattimenti, soprattutto nelle prime settimane, furono aspri. Fanti e parà alleati e divisioni della Wehrmacht si contendevano il terreno palmo a palmo, lasciandosi alle spalle cumuli di macerie fumanti. Sfondata la prima linea di difese costiere, i nazisti tentarono a lungo di ricacciare in mare il nemico. Basti pensare che Caen, a meno di 18 chilometri dalle spiagge dello sbarco, fu liberata solamente il 19 luglio, quasi un mese e mezzo dopo il D-Day.
St. Lo fu una delle città più colpite dai bombardamenti: si dice che Samuel Beckett, che la visitò nell'agosto del 1944, abbia battezzato quella distruzione «capitale delle rovine». Rémi B., nato lì proprio il 6 giugno, rischiò di non vedere l'alba della Liberazione (le truppe americane arrivarono fra il 16 e il 17 luglio, cinque settimane più tardi): nella notte successiva allo sbarco gli Alleati bombardarono la città, considerata uno snodo strategico, e l'antico ospedale crollò rovinosamente. Rèmi fu salvato da un'infermiera e riconosciuto dalla madre, un'ora più tardi, all'interno di un rifugio antiaereo. Nelle stesse ore un'altra donna dava alla luce un altro Rémi, in un piccolo villaggio in prossimità di Utah Beach. Mentre la partoriente si contorceva per le doglie, alcuni paracadutisti inglesi atterrarono nel giardino. All'arrivo dei tedeschi i soldati dei due eserciti si fronteggiarono per qualche lunghissimo, esasperante, attimo di tensione ma alla fine i nazisti se ne andarono senza sparare, richiamati altrove dalla battaglia. A poca distanza, altri soldati, americani - nascosti in casa in attesa dei rinforzi - aiutavano un'altra donna a partorire. Il bimbo di allora, Jean-Yves, ancora conserva la foto che lo ritrae, neonato, in braccio alla madre sotto lo sguardo intenerito di un marine.
«Spesso gli intervistati si schermiscono dicendo di non ricordare, protestando che non hanno fatto nulla - racconta Benoist -. Ma queste nascite sono uniche, speciali. C'era la gioia della vita, certo, ma anche un clima di terrore: i genitori di quei bimbi vivevano nella paura. Per questo parlare non è sempre facile. È un lavoro lungo, sono ancora alla ricerca dei nati di quel giorno».
La reporter normanna vorrebbe realizzare un documentario e forse scrivere un libro sulla vicenda dei bimbi del D-Day. Ma la sua ricerca suscita una riflessione che va al di là della contingenza spazio-temporale. Ricordare le atrocità della guerra invita - al di fuori di ogni retorica - a riflettere sul valore della pace.
La testimonianza dei bambini di allora costituisce un patrimonio immateriale di tutti gli Europei e un monumento alla storia da custodire e da mettere a frutto. «Abbiamo bisogno di liberare la forza della parola», argomenta Benoist. Un atto di fiducia, chiesto ai bimbi dello sbarco, da tramandare alle generazioni future.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.