Quei pittori con lo spirito da cowboy

Fra ’800 e ’900, armati di colori, pennelli e tavolozze immortalavano cacce al bisonte e assalti alle diligenze

Paese di poeti, santi e navigatori, l’Italia. E di pittori, aggiungeremmo noi. Diverso è il discorso per gli Stati Uniti d’America, che i santi li hanno importati dal Vecchio continente e i navigatori, soprattutto italiani, li hanno usati per inventarsi sulla mappa. Qualche poeta di grande spessore lo hanno avuto. Che dire dei pittori, dunque?
Le arti figurative non sono certo la prima cosa che ci viene in mente quando ragioniamo a stelle e strisce. Più facile far mente locale sui toni sincopati di un blues del Sud o sulle immagini degli spazi sconfinati di un film on the road. Eppure di pittura ce n’è sempre stata tanta, nel Nuovo Mondo. La mostra «America! - Storie di pittura dal Nuovo Mondo» (dal 24 novembre al 4 maggio negli splendidi ambienti del Museo di Santa Giulia di Brescia), ce lo conferma.
Nella culla delle belle arti che è sempre stata l’Italia, è una sfida non facile. Una sfida che sembra essere stata accolta con grande interesse ed entusiasmo in tutto il Paese, a giudicare dal successo di pubblico ottenuto dalle presentazioni nei teatri di mezza Italia che la rassegna ha avuto. Il curatore, Marco Goldin, sottolinea i numeri: più di 10mila persone hanno preso parte alle varie presentazioni, che non sono ancora terminate. E dire che, per sua stessa ammissione, «non si tratta di Van Gogh o di Monet, ma di pittori, quelli americani dell’Ottocento, che nella memoria di noi europei non hanno lasciato quasi traccia. Eppure la bellezza delle loro opere è indiscutibile... Si tratterà di conoscere qualcosa di completamente nuovo. E ben sappiamo come la meraviglia più alta nasca proprio da questo senso del non atteso».
Ma l’America è grande anche in questo, nel saper convogliare su di se un’ampia attenzione mediatica. Fra l’altro, per promuovere la rassegna giungeranno a Brescia personaggi come Dan Peterson, Gianni Riotta, Antonio Caprarica, Reinhold Messner e Mike Buongiorno. Un’americanata? Forse, ma è possibile che questa sia la strada giusta per intrigare un pubblico di norma piuttosto distratto, nella nostra era della comunicazione. Ciò che conta è che, attraverso i paesaggi inquietanti di Albert Bierstadt o di Thomas Moran, possa emergere l’America, colta e campagnola al tempo stesso, che non ti aspetti. Che i soggetti di questi quadri siano figure umane - comuni cittadini, soldati a cavallo, indiani impegnati nella caccia al bisonte, oppure personaggi ammantati da un alone di leggenda come Buffalo Bill - o il paesaggio americano stesso nelle sue diverse sfaccettature, il messaggio saliente è un messaggio di forza: la forza di un popolo nuovo, di frontiera, e la forza della natura, con il ruolo che ha recitato nel plasmare i contorni dell’America che noi conosciamo.
Dunque, non c’è solo Frederic Remington, il sommo cantore per immagini del West, così come non c’è solo il West, nell’universo di questi artisti del XX secolo. È un’America che, fin dalla sua fondazione, aspira ad assumere un’identità che la distingua da quell’Europa che l’ha partorita e da quell’Africa che l’ha nutrita di linfa nuova, seppur sradicata e scaricata a forza sui suoi lidi.
Chi ha avuto o chi avrà la fortuna di recarsi in quei luoghi, si renderà conto di persona dell’impatto emotivo che esercitano.

Se non si può fare a meno di percepire un senso solenne, quasi mistico, davanti alla maestà del Colonnato del Bernini, o il polso della storia all’interno del Foro romano, sfidiamo chiunque a restare insensibile di fronte al Grand Canyon o alla sconfinata vastità delle praterie del Midwest. In attesa di andarci di persona, può essere illuminante osservarne la rielaborazione creativa che questi grandi e spesso semisconosciuti artisti ne hanno fatto.

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