Quel cuneo pieno di contraddizioni

Nicola Porro

Anche il più equilibrato degli osservatori dichiaratamente di sinistra, il Riformista allora di Antonio Polito, fu entusiasta: «Cinque punti di cuneo e un punto per Prodi». L’editoriale parlava chiaro: finalmente l’Unione «inaugura una nuova fase della campagna elettorale». E ancora: «Non su tutti i temi di merito Prodi si è dimostrato così chiaro e sicuro come sul cuneo fiscale». Vatti a fidare. Se c’è un tema oggi che sembra opaco, dai contorni poco chiari e comunque oggetto di una trattativa che sarà estenuante è proprio come distribuire questi dieci miliardi di riduzione del cuneo fiscale. Andiamo per ordine.
Il cuneo fiscale rappresenta la differenza tra la busta paga netta di un lavoratore e quanto invece costa al datore di lavoro. La distanza è dovuta dalle somme che verranno accantonate per tasse e pensioni del dipendente, ma anche per i cosiddetti oneri impropri (balzelli e tutele di varia amenità). Orbene il cuneo in Italia è monstre. E fa sì che il costo di un’unità di prodotto realizzato nel nostro paese, a parità di altri costi produttivi, sia più alto rispetto ai nostri concorrenti. Insomma per le industria è come competere con un braccio legato dietro alla schiena. Il problema non è nuovo. Tanto che anche il governo Berlusconi nella Finanziaria del 2006 aveva messo a bilancio due miliardi per la riduzione del cuneo pari ad un punto. Il problema è tutto qua. La riduzione di cinque punti costa dieci miliardi. Eppure in campagna elettorale l’Unione è andata giù dura: via, in un anno, a cinque punti. Solo con le carte del governo in mano, l’atteggiamento è diventato festina lente. Ci si affretti, ma con calma. Il problema è che dieci miliardi non ci sono. Ecco che il cuneo diventa discrezionale o meglio selettivo. Attenzione però. L’Unione europea non concede la possibilità di aiutare una specifica industria. Altrimenti si configura un aiuto di Stato. Si può provare solo per le imprese più grandi. Ma è politicamente scorretto. E poi riducendo il cuneo si incentiva chi spende di più in dipendenti e meno in capitale. Non è detto che sia una via di sviluppo virtuoso per un’economia occidentale. E allora si brinda alla demagogia. Si riduca il cuneo per le imprese che assumono. Fantastico. Ma non potrà evidentemente che essere su base individuale. Se Fiat, per fare un nome, assume un nuovo dipendente lo si agevola con uno sgravio. E gli altri ancora in fabbrica? O alternativamente lo sconto si applica solo a chi trasforma un contratto a tempo in indeterminato. Ma allora conviene prima assumere a tempo determinato e poi trasformare. E che dire della geniale idea di fare sconti sul cuneo alle aziende che fanno ricerca.

Chi se lo becca il cuneo? Il ricercatore? L’intera azienda? E nelle piccole e medie imprese come identificare gli uomini che contribuiscono alla ricerca e allo sviluppo? Ci inventiamo un commissario alla Ricerca? Insomma ridurre il cuneo è cosa buona e giusta. Inventarsi una selettività o peggio una discrezionalità più che difficile diventerebbe grottesco. Ma si farà.

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