Quel manager che non riesce a mordersi la lingua

Dopo la buriana-Mirafiori, non c’era bisogno di altre polemiche. Ma il capo del Lingotto non sa frenarsi. E poi si pente

Ci chiediamo: per quale ra­gione Sergio Marchionne ha voluto buttare benzina sul fuo­co? Il top manager di Fiat e Chrysler non ha ancora com­preso che una sua parola, pro­nunciata nel momento sbaglia­to, o a rischio di essere male in­t­erpretata, può scatenare l’in­ferno? (la querelle Detroit-To­rino ha dato lo spunto a Fiom, Cgil, Pd, Idv e Sel per rialzare la cresta, mettendo in serio imba­r­azzo chi ha appoggiato la svol­ta della Fiat; per non parlare delle ripercussioni sulle elezio­ni sotto la Mole).

Eppure, in questi anni, di uscite infelici, e oggetto di precisazioni e possi­bili strumentalizzazioni, Mar­chionne ne ha fatte parecchie. Quando l’altro giorno,al termi­ne dell’incontro di San Franci­sco, a dodici ore di volo dall’Ita­lia, quindi dall’altra parte del mondo, ha dato in pasto ai gior­nalisti la risposta che, così co­me ha varcato l’Oceano, ha ge­nerato il caos, Marchionne pro­babilmente si era calato un po’ troppo nella realtà Usa.L’affe­r­mazione, nel caso, avrebbe ri­chiesto un approfondimento immediato. Ma in California se ne fregano dell’Italia e di quello che una frase, seppur striminzita, può dare origine. Il titolo del pezzo c’era. Tant’è, che alla richiesta di spiegazio­ni da parte di Palazzo Chigi, il top manager ha subito corret­to il tiro: «Nessun trasloco al­l’­estero né per l’oggi né per il do­mani delle funzioni direzionali e progettuali di Fiat».

Ciò non ha impedito che l’ultimo fine settimana sia stato tra i peggio­ri in assoluto per gli addetti alla comunicazione del Lingotto. Marchionne, al contrario di altri manager di pari peso, è un uomo che difficilmente nega una risposta«volante»al termi­ne di una convention o mentre sta osservando le novità espo­ste a un Salone dell’auto. E può capitare che nella calca, o in de­terminate situazioni, chi sta con il taccuino in mano pren­da per buono un termine dal doppio significato (il top mana­ger spesso fa uso di parole che in America vogliono dire una cosa e da noi un’altra). «Trovo osceno - disse qualche anno fa, beccandosi le rimostran­ze degli analisti - definire “junk” un’azienda che non ha più debiti». Smisurato o in­giusto sarebbe stato, proba­bilmente, il termine più ap­propriato. E ancora l’altro giorno, riferendosi ai miliar­di ottenuti dalla Casa Bianca, Marchionne ha parlato di «prestiti da usura», chieden­do poi scusa a Barack Obama e facendo mea culpa: «Mi rin­cresce e considero quella pa­rola inappropriata».

Lo stesso Marchionne ave­va farcito il tutto utilizzando l’aggettivo «shyster» (filibu­stiere). Incidente comunque chiuso con la seguente preci­sazione: «I tassi applicati al­l’epoca dell’accordo per Chrysler oggi risultano supe­riori alle condizioni di merca­to ». Altra bufera il responsabi­le della Fiatl’aveva creata do­po l’intervento in tv da Fabio Fazio. La domenica nera del Lingotto (soprattutto dei suoi addetti stampa) era nata dall’affermazione secondo cui «la Fiat farebbe meglio senza l’Italia». Quindi la pre­cisazione: «Continuiamo a credere in questo Paese e alla fattibilità del piano “Fabbri­ca Italia” ».Un po’ più di atten­zione, dottor Marchionne.

Anche lei, del resto, ha ammes­so­di non essere un buon comu­nicatore. Quello che pensa ac­cadrà tra qualche anno (la fu­sione Fiat-Chrysler) lo annun­c­i quando le acque sono più cal­me e «Fabbrica Italia» è partita.

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