Quel trip di Jünger

Quando fece Visita a Godenholm, Ernst Jünger era consapevole che pochi l’avrebbero seguito. Quando nel 1952 uscì in Germania quel suo testo misterioso, Besuch auf Godenholm - una novella all’apparenza, per la forma narrativa, scritto iniziatico, enigmatico: gotico, onirico, visionario, «leggendario», per i riflessi di luce nordica e gli echi dei miti scandinavi che ne pervadono la sostanza - l’autore si era da qualche anno ritirato a vita privata. Finita (perduta) la guerra, usciti nel ’49 i diari dell’occupazione parigina (Irradiazioni, Guanda, 1993), Jünger era ormai passato Oltre la linea (Adelphi, 1989): scavalcata nel ’50 per compiere, con i 60 anni di Martin Heidegger cui il saggio è rivolto e dedicato, il superamento del meridiano zero del nichilismo. Era «passato al bosco», per compiere la mossa di un solitario (Der Waldgang, «L’imboscamento» è il titolo originale del ’51), o il gesto di un rivoluzionario (Il trattato del ribelle è il titolo italiano, Adelphi, 1990) pronto a deporre le armi per darsi alla macchia tra le selve di Wilflingen.
IDEE INCARNATE
Proprio all’inizio della sua seconda vita - isolata, insulare - risale il racconto della Visita a Godenholm, tradotto ora in italiano con smagliante perfezione da Ada Vigliani per Adelphi (pagg. 114, euro 9, nelle librerie da mercoledì prossimo). Del viaggio su un’isola appunto si racconta. Viaggio breve: una gita, un trip, come si dice delle escursioni che portano «fuori di sé» sotto l’effetto delle ebbrezze e delle droghe. Fu quello il motore e lo stimolo all’ispirazione. Per l’autore, come avrebbe confessato più tardi. E per i suoi protagonisti, come è appena accennato nella narrazione. Per Moltner, Einar, Ulma. Figure meno caratterizzate come personaggi che disegnate come incarnazioni di un’idea e messe così al seguito della sfilata dei «tipi» che attraversano da cima a fondo l’opera di Jünger: il Soldato del fronte, l’Operaio, il Titano. Il Cacciatore: «sottile» se intento a inseguire coleotteri, meno contemplativo e più virile se messo sulle tracce di prede più feroci, come nella Caccia al cinghiale del raccontino compreso nel nuovo libretto adelphiano. O l’Anarca del romanzo Eumeswil. O il Ribelle che passa al bosco: dicesi Waldgänger, con termine di provenienza islandese.
Qui sono un medico neurologo, uno studioso della preistoria, o «protostoria» come preferisce dire, una nordica dal corpo sano e forte da valchiria e la sapienza spregiudicata di una sibilla. Che poi la loro meta fosse un lembo di terra emersa al largo delle coste di Finlandia, affiorata nel paesaggio dei fiordi come estremo «rifugio degli dei», o asilo dei Goden, «i sacerdoti scandinavi» (avrebbe spiegato l’autore), abitata da un intrigante principe baltico - il tenebroso Schwarzenberg, alla lettera «Monte Nero»: avventuriero dello spirito, erudito, eremita, viaggiatore ascetico e simposiarca -, non fa che aumentare l’oscura valenza simbolica dell’«avvicinamento» dei visitatori.
Per fortuna anni dopo, negli Avvicinamenti, il libro del 1970 sulle Droghe ed ebbrezza ristampato da Guanda due anni fa, Jünger avrebbe fornito lumi per sondare il senso di quell’esperienza. Avrebbe ammesso che uno scritto tanto «stupefacente» nella concezione dovesse fatalmente riuscire sconcertante nella ricezione. Avrebbe scritto: «Che il mio volumetto non avrebbe avuto successo, lo sapevo fin dall’inizio. Mi fece compassione, come se avesse freddo, quando lo vidi nelle vetrine».
Ma non sembra che gliene importasse poi tanto. Un tempo per qualcuno «la missione dell’arte era la trasparenza», aggiungeva ripensando a Godenholm. Allo «splendore pitagorico» che si era acceso per i protagonisti di quel frammento di iniziazione. Al «colpo d’ala» che li aveva sfiorati, come «lo scienziato quando travalica i confini della propria disciplina». Al radioso «giglio di mare», il fiore azzurro sbocciato da un bastoncino d’incenso. O alla ballerina che «girava flessuosamente sul proprio asse» ruotando con quel filo di fumo per far cadere «il velame del fenomeno». Ma, proseguiva, «nella società dei consumi altri sono i principi determinanti, e chiunque voglia fare l’aristocratico si renderà solo ridicolo». Comunque, ammetteva, «va detto che il testo era difficile da inquadrare».
Inquadriamolo allora. «Devo lo spettacolo del filo azzurro a un mattino a Bottmingen», ricorda lo scrittore negli Avvicinamenti. «E lo ricollego a un altro avvenimento: la visita a Heuneburg, la fortezza celtica, una notte d’inverno. Fu una notte fatale, ne ho dato solo qualche ragguaglio, e a ragione». Ciò che accadde nella fatale notte celtica resta un segreto. Ma dell’azzurra mattina di Bottmingen dà conto un altro testimone che con Jünger assisté al visionario spettacolo lisergico. Era Albert Hofmann, il padre dell’Lsd, che nel 1951, un giorno d’inizio febbraio - racconta in Il mio bambino difficile, la biografia dell’acido -, invitò nella cittadina elvetica il farmacologo Heribert Konzett e lo scrittore Ernst Jünger, «un uomo sommamente sensitivo», perché partecipassero a un comune trip con partenza dal soggiorno di casa sua. Potrebbe celarsi proprio lo scienziato svizzero - che di Jünger fu grande amico e ammiratore e che, oggi vivo, vegeto e 102enne, gli sta forse togliendo il primato di longevità - nell’ombra dello Schwarzenberg di Godenholm. Potrebbero essere sue le parole che il maestro di cerimonia pronuncia nella chiusa del racconto: «La mia casa è come una locanda spagnola. Gli ospiti non vi trovano niente più di quello che hanno portato con sé».
LETTORI ECCELLENTI
Con il tempo, timidamente, altri ospiti avrebbero varcato la soglia di quella locanda: spagnola, elvetica o scandinava che fosse. Con gli anni, i lettori in visita a Godenholm presero a confidare all’autore quel che vi avevano scoperto. La madrilena Vintila Horia gli scrisse nel febbraio del ’70: «L’ho già letto tre volte, e a ogni lettura vi trovo nuove bellezze». Il francese André Almuro che alla maniera dei romantici d’Oltralpe d’inverno scambiava il proprio appartamento parigino con una fattoria nella Foresta Nera, non mancava di portare con sé, scialuppa di salvataggio nel suo isolamento letterario, Visite à Godenholm, tradotto in Francia da Henri Plard nel ’68. Il pittoresco Guido, hobo, hippy, vagabondo e figlio dei fiori che per raggiungere Jünger in Alta Svevia attraversò l’Europa in bicicletta con una manciata di mescal bottoms, marijuana e simili nello zaino, s’era trovato Godenholm tra le mani in Messico, come un libro che segue imperscrutabili percorsi di destino «per arrivare al cuore».
Ma il lettore più autorevole resta Gottfried Benn, il poeta medico che curava i sifilitici e di Bacco, tabacco e Venere perscrutò le ebbrezze fin nei sintomi delle veneree patologie. «Sa, è la cosa più raffinata che lei abbia scritto», disse a Jünger accogliendolo nel suo appartamento della «Berlino prima del muro». Poi, sfogliando Godenholm, che era uscito di recente, ne lesse ad alta voce il passo più oscuro.

Quello che dice del tema di tutte le arti, il motivo di tutti misteri, il punto dove cade il velo dell’apparenza e il fenomeno coincide con l’essere, l’onda con il mare. Dunque «posò il libro sul divano» e, illuminato dalla trasparenza di una rivelazione, disse: «Che cos’è? Che cos’è? È il pene! Può essere solo il pene».

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