Giunge notizia che Italo Bocchino, il noto parlamentare finiano assurto all’onore delle cronache nazionali in quanto negli ultimi tre o quattro mesi ha di fatto assunto il ruolo di portavoce di Fini e della sua nuova forza politica, avrebbe espresso l’intenzione di querelare il Giornale - nella persona del direttore e di alcuni giornalisti - per il reato volgarmente detto di «stalking».
Si tratta, come è noto, di una nuova figura di illecito penale introdotta nel febbraio del 2009, allo scopo specifico di approntare un rimedio giuridico praticabile in tutti quei casi in cui non potessero applicarsi le norme già esistenti per tutelare soggetti deboli (quali donne, bambini o disabili) da condotte ripetute e di grave molestia non altrimenti punibili.
Il caso tipico e che la cronaca più volte negli ultimi anni ha portato all’attenzione dell’opinione pubblica è quello del fidanzato o del marito che, non rassegnandosi all’abbandono da parte della donna amata, la molesta ripetutamente, la minaccia, la impaurisce nella vana illusione di sanare un rapporto già inevitabilmente consumato: non potendosi utilizzate le figure di reato già esistenti, si pensò bene di vararne una nuova e apposita che appunto punisce con la reclusione da sei mesi a quattro anni «chiunque, con condotte reiterate, minaccia o molesta taluno in modo da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita...».
Orbene, l’onorevole Bocchino vuol far intendere che il Giornale, evidentemente attraverso le proprie inchieste e i propri servizi giornalistici che, per forza di cose, in questi ultimi mesi si sono incentrati sulle personalità politiche più in vista del Fli (e fra queste Bocchino), avrebbe commesso il reato sopra descritto.
Ma le cose stanno proprio così? In proposito, avrei molti dubbi anche soltanto a considerare la fattispecie disegnata dalla nuova norma in astratto, a prescindere cioè dalla prova concretamente ottenibile sull’esistenza di questo o di quell’altro elemento.
Non mi pare possibile, infatti, ipotizzare che Bocchino sia stato colto - da politico navigato - da ansia, paura o timore per l’incolumità propria o di persone care, semplicemente per il fatto che il quotidiano abbia effettuato normali, benché fastidiose, inchieste giornalistiche che avevano a che fare con la Rai e i presunti rapporti con familiari di Bocchino o fra questi e esponenti politiche del gentil sesso, come si palesò tempo fa in Parlamento e perciò pubblicamente.
Certo, inchieste del genere possono dare e di fatto danno molto fastidio a chi ne sia il protagonista, ma resta vero che non esiste alcun presupposto giuridico che possa giustificare una querela a carico dei giornalisti per questa ragione.
Infatti, Bocchino dovrebbe considerare come lui non sia una qualunque badante che, dopo aver mollato il «moroso», debba temerne le reazioni inconsulte e tendenzialmente aggressive e pericolose; non sia la moglie tradita e inviperita che debba resistere ai tentativi del marito di reagire alla scoperta della propria tresca; non sia, del resto, neppure uno qualunque.
Egli invece è un politico molto in vista, è un uomo pubblico, è uno dei delfini di Fini vale a dire di colui che, da presidente della Camera, ha inaugurato uno stile a dir poco fantasioso che gli ha permesso di fondare un nuovo partito politico, pur restando al suo posto.
Egli, insomma, non incarna, né mai lo potrà, il tipo umano che quella norma è destinata a proteggere né giuridicamente né socialmente.
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