
Pharrell Williams è il curatore di Femmes, una collettiva inaugurata il 20 marzo alla galleria Perrotin di Parigi e aperta fino al 19 aprile. Si tratta solo dell'ultimo esempio di come nel mondo dell'arte contemporanea esistano curatori-star ma anche star-curatori. Spieghiamoci: il curatore è colui che ha la responsabilità di scegliere gli artisti da esporre in una mostra collettiva, oppure le opere di un singolo artista in una personale, oppure di fare la programmazione di un museo o di decidere cosa acquistare per la collezione di una fondazione. Ci sono curatori-star, e sono quelli che curano collezioni ed esposizioni di grandi musei, biennali, gallerie di prestigio, come il celebre Hans-Ulrich Obrist, oppure Francesco Bonami, Achille Bonito Oliva, Daniel Birnbaum, Harald Szeemann. Ma questa è gente che dell'arte ha fatto la propria vita, e che, con la propria vita, ha anche fatto un pezzo della storia dell'arte. Gli star-curator, invece, sono star, o se preferite celebrity, appartenenti al mondo della musica, della moda, dello spettacolo, che vengono chiamati a curare mostre estemporanee. Quanto hanno studiato? L'arte è la loro professione? Di solito hanno una collezione, non sono insomma dei profani, ma questo basta a investirli del ruolo di curatore? Eppure capita sempre più di frequente che vi siano star-curator il cui nome brilla accanto al titolo di un'esposizione. Cosa che certamente aiuta gallerie, istituzioni e case d'asta a creare hype intorno all'evento.
Pharrell Williams è quello di Happy. Ve la ricordate? Era quella canzoncina allegra e travolgente che un po' tutti canticchiavamo una dozzina d'anni fa, nota a grandi e piccini perché faceva parte della colonna sonora di Cattivissimo me 2. Ma è ingeneroso costringere Pharrell nel ruolo dell'interprete di una sola canzone. In realtà è uno dei più importanti produttori degli ultimi vent'anni, ha lavorato con Ed Sheeran, Madonna, Beyoncé, Kanye West, e ha ricevuto una pioggia di Grammy Award. Insomma, Pharrell è una star a tutto tondo, un'icona, una celebrità. La galleria Perrotin al 76 di rue de Turenne a Parigi è l'ammiraglia della galassia di gallerie creata da Emmanuel Perrotin, a oggi uno dei dieci più importanti galleristi al mondo. Lo spazio di rue de Turenne, nel Marais, occupa uno spettacolare palazzo del XVIII secolo, e con altri due spazi minori nella sola Parigi Perrotin arriva a 2400 metri quadri espositivi. E, per dire il livello, ha altre sedi a Hong Kong, New York, Seoul, Tokyo, Shanghai, Los Angeles.
Lanciata in grande stile e liberamente aperta al pubblico, Femmes espone opere di 39 diversi artisti, omaggiando figure storiche dell'arte africana e afroamericana come Betye Saar, Carrie Mae Weems, Seyni Awa Camara ed Esther Mahlangu, oltre che emergenti come Prince Gyasi, Zanele Muholi, Otis Kwame Quaicoe, Zéh Palito. Artisti e soggetti delle opere (quasi tutte pittoriche) sono neri, con grande prevalenza del femminile, restando così in un solco contemporaneo che, culturalmente e commercialmente, funziona bene. Ma Perrotin aveva davvero bisogno di Pharrell per mettere insieme una mostra come questa? Il dubbio resta, anche se non è la prima volta che il cantante e produttore afroamericano, proprietario di una cospicua collezione di arte contemporanea, collabora con il gallerista parigino. E non scordiamoci che dal 2023 Pharrell è pure il direttore creativo della linea uomo di Louis Vuitton. Il che ci porta alle star-curator di Christie's e Sotheby's. Le due case d'asta britanniche organizzano da qualche anno esposizioni con, alla curatela, ospiti come Simon Porte Jacquemus, designer e proprietario dell'omonimo brand di borse e abiti, o come la supermodella Karlie Kloss, o il fashion designer Virgil Abloh, direttore artistico proprio della linea uomo di Vuitton prima di Pharrell.
Stiamo parlando di esposizioni, non di aste, anche se è inevitabile che dopo la mostra nelle sedi di Londra o New York, una buona parte dei pezzi esposti vada all'incanto sulla scia della polvere di stelle. Un deal che è particolarmente esplicito nel caso di Sotheby's, che all'inizio del 2025 ha scelto come guest curator nientemeno che Victoria Beckham. L'ex Spice Girl, che con David Beckham forma una delle coppie più celebri d'Inghilterra, accantonata la musica pop ha aperto un brand di abiti. Nella sua boutique di Dover street, a Londra, ha curato in febbraio una mostra di artisti contemporanei e post-war. Ma curato in che senso? Sotheby's le ha chiesto di scegliere alcune opere d'arte tra quelle che sarebbero andate in asta a fine mese, e la ex-Posh Spice ha distribuito quadri di George Condo, Richard Prince, Basquiat, Yves Klein, Yoshitomo Nara e Keith Haring negli spazi della sua boutique. Il colpo d'occhio era affascinante (si trovano ancora dei video in rete), l'entrata libera, la mostra estemporanea un successo. Ma a Sotheby's è servito davvero? Sì e no, a giudicare dalle aggiudicazioni. Nell'asta Contemporary Curated del 26 febbraio a New York, tra i pezzi esposti nella boutique della Beckham sono stati venduti un grande George Condo a 1.800.000 dollari (300.000 sopra la stima massima), un piccolo Keith Haring a 355.000 (poco sopra la stima) e anche un bel monocromo blu di Yves Klein che ha fatto 190.000 dollari contro una stima massima di 200.000.
Ma è interessante ricordare che questa è stata la stessa asta in cui un bel numero di artisti italiani ha fatto faville: Guglielmo Castelli e Salvo sono stati aggiudicati quasi al doppio della stima e uno dei leggendari «gesti tipici» di Sergio Lombardo, un grande John Fitzgerald Kennedy con l'iconico dito puntato, è arrivato sopra i 400.000 dollari, polverizzando il precedente record price dell'artista romano. E questo nonostante la Posh Spice nella sua esposizione londinese non se li fosse minimamente filati.
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