Quello che le donne non dicono

Quello che le donne non dicono

Ci sbatti dentro appena raggiungi Varese Ligure del borgo rotondo: è il Castello Fieschi da cui non puoi prescindere. È il Castello in cui va in scena una storia di donne raccontata da una donna che non s'è persa un pezzo degli anni via lisci tra stazioni di posta, migranti e abitudini. «Donne da ieri a oggi» è la mostra che s'è presa il piano terra del castello: il baluardo del virile che ospita la forze del cambiamento e dell'emancipazione. Se l'è curata Lella Canepa, che vive nella frazione di Giggeri, 150 case e 7 abitanti, fa ancora il bucato con la cenere e usa la campana di ghisa. La sostiene l'Associazione Culturale Varese Ligure, con la presidente Stefania Pezzi che a rielaborare il borgo e i suoi talenti ci ha preso gusto da anni. È un viaggio attraverso la cultura materiale al femminile: utensili e arredi dall'inizio del Novecento ad oggi a documentare le conquiste che hanno concesso alle donne di prendersi tempo, «quello che risparmi dal mortaio al frullatore - precisa Lella - o dal mastello del bucato alla lavatrice». Ti racconta dei panni trasportati nel mastello e lavati sulle pietre del fiume, «poi il passaggio nel tinello bucato e il ripasso nella cenere sciolta in acqua. Un rito che durava tre giorni». Accanto al mastello la prima lavatrice scaricata a Varese, «solo una ventola che muoveva acqua e detersivo, niente di più, ma almeno si faceva in casa». Stessa storia per il fuoco, acceso per terra in cucina sulla pietra refrattaria, con campana di ghisa antenata del forno, sostituiti dalla prima cucina a gas, «una bomba innescata» scherza Lella. Poi il dado simbolo di una cucina liberata da ore di fuoco lento a consumare i gusti, e il frigo a sollevare dall'onere della spesa quotidiana. Le sezioni ammiccano all'evoluzione di una terra di mezzo che annusava il nuovo: «Dell'ammannire i cibi», «Del lavare», «Dello stirare», «Delle cure da prestarsi ai bambini», «Del pudore e dell'inverecondia» e «Della spesa». Una bella ricerca proprio sulla spesa fa perno su tre date: il 1900 dei prodotti semplici, il 1945 della guerra e dell'annonaria e il 1960 del detersivo, dado e latte in bottiglia. «Dalla lira all'euro, con l'analisi della capacità d'acquisto negli anni e l'attenzione agli stipendi. Nel 900 un operaio guadagnava 80 lire e un'operaia 10. Nel 60 un contadino percepiva 30.000 lire e una contadina 12.000. Le calze di organzino nel '37 costavano 30 lire e lo stipendio di una cameriera s'assestava sulle 70».
Il viaggio continua nell'intimo femminile con mutande e sottovesti: «I primi slip a Varese li portò una fanciulla di qui che studiava a Reggio Emilia. Le amiche li videro e se li cucirono». Altra storia il vestito da sposa, «l'unico vestito buono nell'armadio e con quello ti seppellivano. È stato difficilissimo trovarne uno».
E la leggendaria camicia da notte col buco, con su scritto «non lo fo per piacer mio ma per far piacere a Dio», che non è in mostra, ma Lella la ricorda benissimo. A scandire gli anni e gli usi degli oggetti un testo dell'800, «Libro per scuole femminili delle campagne» che ne traduce l'anima economica-sociale ed etica: «Varese di fine 800 vanta un elevato indice di scolarizzazione e anche le donne avevano il diritto di frequentare la scuola grazie ad un prete illuminato che si era impegnato in questa direzione».

Un viaggio trasversale che diventa lo spaccato del suo borgo in anticipo e al passo coi tempi.
La mostra è aperta tutti giorni fino al 2 settembre, dalle 17 alle 21. Fino al 20 agosto anche dalle 11 alle 13, con ingresso libero e visite guidate. Per informazioni 0187/ 840513.

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Pubblica un commento
Non sono consentiti commenti che contengano termini violenti, discriminatori o che contravvengano alle elementari regole di netiquette. Qui le norme di comportamento per esteso.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica