Il Quirinale vuole «indagare» su Woodcock

Sul lavoro del giudice sorgono dubbi relativi anche alla competenza territoriale

Anna Maria Greco

da Roma

Era appena scoppiato lo scandalo con l’arresto di Vittorio Emanuele di Savoia e le polemiche connesse, quando il Quirinale si è mosso. Il presidente Giorgio Napolitano, come numero uno del Consiglio superiore della magistratura, ha chiesto a palazzo de’ Marescialli un quadro completo delle pratiche che riguardano il sostituto procuratore di Potenza, Henry John Woodcock, che ha innescato la miccia.
Nel pieno del week-end, con gli uffici semideserti, al Csm ci si è affannati a mettere insieme un elenco completo che è stato subito inviato sul Colle e ieri pomeriggio è stato discusso dalla Prima Commissione, quella competente per i trasferimenti d’ufficio. Sono 4 pagine con la lista di 9, tra esposti di privati cittadini e rapporti dell’autorità giudiziaria, che accusano il pm di diverse violazioni e irregolarità, dagli arresti facili alle intercettazioni eccessive. Tutti, tra il 2001 e il 2006. Sette si sono conclusi con l’archiviazione, con la formula: «trattasi di censure all’attività giurisdizionale». Degli altri due, rapporti del Procuratore generale della Corte d’appello di Potenza (il primo del 2004, l’altro del 2006) l’ultimo, a quanto risulta al Giornale, ha convinto il Procuratore generale presso la Cassazione ad aprire una pratica per l’istruttoria relativa a un procedimento disciplinare.
Riguarda intercettazioni di avvocati «nell’espletamento del proprio mandato difensivo», mentre cioè parlavano con i loro clienti. A Potenza sono stati denunciati diversi episodi, sia di spie nelle salette della stessa Procura lucana, sia nei telefoni degli indagati che si consultavano con i difensori. La storia più clamorosa portò nell’autunno 2004 all’arresto di 52 persone, compreso l’allora presidente delle Camere Penali di Potenza, Piervito Bardi, poi scarcerato dal Tribunale del riesame, con la conferma della Cassazione che respinse il ricorso della Procura, come per altri indagati.
Si trattava dell’inchiesta di Woodcock e del pm Vincenzo Montemurro chiamata «Iena2», su legami tra criminalità, polizia e affari nella gestione degli appalti in Basilicata. Bardi, che oggi è uno dei difensori di Vittorio Emanuele di Savoia, in seguito ad uno di quei colloqui intercettati con un cliente indagato, fu arrestato alle 4,30 di notte e sotto casa sua c’era una piccola folla di giornalisti, fotografi e operatori tv.
Altri avvocati furono vittime di intercettazioni ambientali, mentre parlavano liberamente con i loro assistiti nelle sale della Procura. Scoppiò un pesante conflitto tra avvocatura e Procura, con una serie di azioni di protesta dei penalisti, un intero mese di sciopero e la richiesta di ispezioni al ministero della Giustizia, che furono poi disposte. Al Csm i consiglieri Nino Marotta (Udc) e Gianfranco Schietroma (Sdi) proposero l’apertura di un fascicolo che divenne molto voluminoso. E che ora sembra interessare i titolari dell’azione disciplinare.
«Alcuni avvocati - racconta l’attuale presidente delle Camere Penali di Potenza, Savino Murro - scoprirono dai brogliacci delle intercettazioni telefoniche dei loro assistiti di essere stati spiati quando uscivano dalla sala dell’interrogatorio e venivano fatti accomodare in una stanza attigua della Procura. Una cosa gravissima, che inficia la nostra funzione difensiva, uno dei capisaldi della giustizia. Che la Procura di Potenza usi con straordinaria larghezza le intercettazioni telefoniche come esclusiva base delle inchieste, senza cercare tanti altri riscontri, è dimostrato dall’enorme spesa sostenuta al riguardo e che ci siano stati molti arresti facili lo conferma il fatto che nell’80-90 per cento dei casi il Tribunale del Riesame e poi la Cassazione ha annullato i provvedimenti».
Anche un esposto del 2001 lamenta «un’ingiusta detenzione cautelare e la violazione dei diritto di riservatezza» di un ex-magistrato, mentre uno del 2003 riporta le accuse a Woodcock di una avvocato per abuso d’ufficio e omissione d’atti d’ufficio.
In questi casi, però, la Commissione ha proposto l’archiviazione «non essendovi provvedimenti di competenza del Consiglio da adottare». A palazzo de’ Marescialli spiegano che il sistema è strutturato in modo tale che se non appaiono violazioni abnormi e patologiche, eventuali errori non sono sindacabili dall’organo di autogoverno. E quella formula, «trattasi di attività giurisdizionale», serve a preservare la totale autonomia decisionale del magistrato.

Anche se al Csm, in questi anni, molti si sono domandati come il «mastino di Potenza» potesse indagare su fatti che dalla Lucania spaziavano al Nord Italia, con una concezione molto elastica della competenza territoriale.

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