L'Europa conta poco? Colpa di Napolitano

L'Europa conta poco? Colpa di Napolitano
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L’espediente di presentare alle elezioni europee i nomi dei leader che, anche se eletti, non andranno a Strasburgo, diciamoci la verità, è tipicamente italiano. Un modo per avere dei nomi, come si dice in gergo, che tirino, cioè che portino più consenso. E probabilmente è una logica che per alcuni versi è strumentale specie in una stagione in cui addirittura per dare all’elettore la sicurezza di decidere con il proprio voto il nome del capo del governo si vuole modificare la Costituzione e introdurre il premierato.

Fin qui, quindi, la logica non è del tutto cristallina. Poi, però, ci si scontra con la realtà ed è quella di un Paese che non ha una classe dirigente numerosa, che spesso tolti i numeri uno si deve accontentare non dei numeri due e neppure dei numeri tre, ma addirittura dei numeri quattro. Negli ultimi anni, infatti, abbiamo assistito ad un declino del personale politico che è nella stanza dei bottoni o aspira ad esserci. Uno dei problemi, se non il principale, che ci attanaglia è proprio quello di non avere in politica una nomenklatura all’altezza, riconosciuta e qualificata. Le ragioni sono molteplici.

Trent’anni fa, con Tangentopoli, un’intera classe dirigente fu mandata al macero e complice un meccanismo perverso - mediatico giudiziario, si disse - fu gettato il bambino insieme all’acqua sporca. Poi tramontate le ideologie e venuti meno i partiti storici (quella che un tempo veniva chiamata partitocrazia) è invalsa la moda dei partiti personali in cui spesso, purtroppo, oltre al carisma del leader c’è solo il deserto. Il nome dei leader nei simboli è stato solo l’ultimo atto. Leader e partito, nei fatti, sono diventati una cosa sola. Una metamorfosi che magari ha dato continuità alla nostra politica ma fatalmente e inevitabilmente l’ha impoverita sul piano della selezione della classe dirigente.

Ora siamo nella tipica situazione del cane che si morde la coda: da una parte presentare i nomi dei leader sapendo che poi non siederanno nei banchi del parlamento europeo è una ratio singolare, stravagante per non dire assurda; dall’altra per evitare che le urne non siano disertate più di quanto non lo siano già ora, arrecando un danno d’immagine al nostro europeismo, hai bisogno che i grandi nomi scendano in campo e catalizzino l’attenzione su un appuntamento che condizionerà la vita dei cittadini più di quanto gli stessi siano coscienti.

Al fine tra i due mali probabilmente il secondo è il minore. Semmai questa strana situazione in cui sei costretto ad optare non per il meglio ma per il meno peggio dovrebbe indurre ad una riflessione. Ci lamentiamo spesso che l’Europa conta poco o decide poco e male, ma è anche vero che l’incompatibilità che impedisce ai parlamentari nazionali o ai membri di governo di stare nel contempo anche nel Parlamento di Strasburgo, fa sì che tra quei banchi non ci siano i personaggi, pardon i leader che decidono, ma solo esecutori. Un’incompatibilità non decisa dai padri fondatori dell’Unione, ma nel 2002 adottata dal Parlamento di Strasburgo su proposta dell’allora presidente della commissione Costituzionale del Parlamento di Strasburgo, Giorgio Napolitano, che a quanto pare ha fatto guai anche in Europa.

Quella scelta in effetti ha dato vita alla contraddizione di cui da anni siamo testimoni: c’è un organismo europeo che sulla carta conta molto e ce ne accorgiamo tutti i giorni; ma che per la sua composizione, cioè per la tipologia dei membri che ne fanno parte, è debole e succube dei Parlamenti

nazionali. Di fronte a questo paradosso pur avendo fondamento la questione dei leader che si presentano al voto europeo con la riserva mentale di non andare a Strasburgo, alla fine rischia di rivelarsi solo un argomento retorico.

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