La rabbia del Nord per i soldi alla Roma calcio

Il governatore leghista Zaia si scaglia contro il salvataggio della squadra della Sensi da parte di Unicredit: "Scaricato il rischio sui risparmiatori. Come sempre per la Capitale si fanno eccezioni". Il Palazzo romano insorge: paghiamo più tasse di chiunque

La rabbia del Nord per i soldi alla Roma calcio

Nord e Sud, calcio e soldi, destra e sinistra. A parte il sesso e Padre Pio, in questa storia c’è finito dentro di tutto. Tutto quanto, almeno, «fa» Italia. Nel bene e nel male, ridendo e piangendo, e mettiamoci pure in miseria e povertà. Con il conseguente e prevedibile strascico polemico. Un ribollire di passioni e di rancori, di voli pindarici (pochi) e di cazzeggio (tanto), di luoghi comuni e di categorie della carne, per non dire dei visceri, visto che quelle dello spirito nella Penisola sono ormai merce rara.

A scatenare quel «tutto» di cui sopra è stato il governatore del Veneto ed ex ministro dell’Agricoltura Luca Zaia. Uomo ironico quanto puntuto, nonché per indole poco abituato a mandarle a dire, non le ha mandate a dire nemmeno questa volta. Prendendo di mira in un colpo solo, nella sua rosa di pallini verbali, nientepopodimeno che la Roma Calcio, la Roma nel senso più ampio della Capitale, la banca Unicredit, i di lei capitali e come non bastasse anche il di lei amministratore delegato, Alessandro Profumo.

A essere andato palesemente di storto a Zaia è il previsto ingresso di Unicredit negli asset della famiglia capitolina Sensi, asset tra i quali rientra anche la società giallorossa, Pupone compreso. Operazione che la banca guidata da Profumo sta conducendo per rientrare dei 325 milioni di euro di debiti derivanti dalla sua compartecipazione in Italpetroli, storico business industriale della succitata famiglia.
«Ostia, che monada», deve aver pensato tra sé e sé, in prima botta, il governatore Zaia. Traducendo poi verbalmente, in un italiano comprensibile a tutti, anche sotto il Po, quella sua intima valutazione dialettale. «Mi rifiuto di pensare - ha così dichiarato in un’intervista al Corriere del Veneto - che il dottor Profumo e il suo cda, per l’intelligenza e l’oculatezza manageriale che gli riconosciamo, possano avallare operazioni che rischino di scaricare sui soci della banca per primi, e sui risparmiatori poi, le conseguenze di un affare andato male come la Roma Calcio».

Tutto qui? Ci mancherebbe. «Le banche gestiscono la raccolta del denaro nei territori di riferimento e svolgono una funzione sociale - ha proseguito imperterrito il governatore -. Allora a Unicredit chiederei di mettere in cantiere, per lo meno, un intervento di tipo autenticamente federalista: se l’operazione Sensi-Roma vale 325 milioni di euro, Unicredit ne metta sul piatto il doppio per fare qualcosa di utile nel Nord del Paese».

Finita lì? Nemmeno per sogno. Incurante delle possibili critiche di aver voluto aggiungere un tacon che potesse essere eventualmente peggio del buso, come si dice dalle sue parti, Zaia ha messo giù un altro carico. Rendendo esplicito il timore che per Roma e per la Roma si stiano facendo delle eccezioni. «Io so che Roma, sotto la formula di Roma Capitale, ha veramente esagerato su tutti i fronti e sbuca ovunque - ha aggiunto -. Lo abbiamo appena visto nella vicenda per la candidatura olimpica. E adesso ci risiamo».

Apriti cielo! Sotto la veste di sentite quanto indignate prese di posizione dettate alle agenzie di stampa, o meglio tra le righe delle medesime, a un orecchio smaliziato è parso cogliere un coro un po’ più da suburra. Fatto di tanti «anvedi questo», di qualche «li mortacci...», e forse persino di un «tu’ sorella...».

«Non so per che squadra tifi Zaia...», ha premesso in una fremente dichiarazione l’ex Verde (oggi Sinistra e Libertà) Paolo Cento dall’alto della sua fondamentale carica di presidente dell’altrettanto fondamentale Roma Club Montecitorio. Aggiungendo poi, accorato, che «...la Roma è proprietà non solo dei Sensi, ma anche sociale e collettivo, una sorta di bene comune per la città e per gli oltre due milioni di tifosi romanisti fuori della Capitale. Non c’è nessun favore alla Roma, che ha subìto molti torti e pochi favori», ha infine chiosato, sempre più deamicisiano. Come un buon Garrone de noantri opposto all’infame Franti trevigiano.

«Forse Zaia non lo sa, ma Roma è la città che paga più tasse di tutte le altre, compresa la stessa Milano, fiore all’occhiello dell’imprenditoria e dell’operatività del Nord», l’ha buttata polemicamente in una questione di latitudine il consigliere comunale capitolino del Pd Athos De Luca. Più bravo di lui, però, perché ha saputo mescolare magistralmente sentimenti e denaro, è stato il compagno di partito e consigliere regionale Enzo Foschi. «Oltre a essere, come molti sanno, un tifoso della Roma, sono anche un correntista dell’Unicredit, banca in cui ho riposto la mia fiducia.

Ora è chiaro che se questa fiducia dovesse venir meno, non esiterei un minuto a chiudere il mio conto e così faranno migliaia di altri correntisti. Insomma, la Roma non è un Bancomat».
Roba da far sorridere di gusto Franti, ma quello di Treviso.

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica