Il (raro) documentario che svela l'identikit di Henri Cartier-Bresson, «l'occhio del secolo»

Su Rai 5 lunedì 27 andrà in onda «Il mondo delle immagini» dedicato al «fotografo che non vuole essere fotografato»

Il (raro) documentario che svela l'identikit di Henri Cartier-Bresson, «l'occhio del secolo»
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da Roma

Un uomo siede nella penombra, inquadrato di spalle. Il suo volto è invisibile. Se l'obbiettivo sta per svelarlo, lui subito lo volta dalla parte opposta, o lo copre con le mani. È l'uomo che ha scattato foto che tutti conoscono; ma del quale non si conosce alcuna fotografia. È Henri Cartier-Bresson, «il fotografo che non vuole essere fotografato». Un documento eccezionale, finora invisibile quanto il leggendario personaggio che ritrae, perché «dimenticato» per sessant'anni nei magazzini Rai, tornerà alla luce lunedi 27 alle 19,20 su Rai 5, per la serie Dorian. Trasmesso una sola volta nel 1964, su testi di Giorgio Bocca e per la regia di Nelo Risi, riscoperto quasi per caso, Henri Cartier-Bresson e il mondo delle immagini è una sorprendente rarità. Non solo rivela l'identità dell'uomo che, per naturale ritrosia, per mantenere l'anonimato necessario al suo lavoro, e il mistero utile alla sua leggenda, nascondeva il volto dietro l'obbiettivo. Soprattutto regala un'acuta e finissima indagine sui principi, l'estro, il rigore e l'etica di uno dei massimi «narratori per immagini» della storia della fotografia. Intervistato da Romeo Martinez, direttore della rivista Camera, ossessivamente preoccupato di mascherarsi dietro una colonna o in un angolo d'ombra, finché, nelle ultimissime inquadrature, si svelerà, Cartier-Bresson spiega così tanta pudicizia: «Il mio lavoro mi costringe all'anonimato. Io riprendo le persone alla sprovvista, a bruciapelo. Non mi è consentito mettermi in mostra». Definito per questo «maestro del caso poetico» e «poeta della visione istantanea», il bizzoso fotografo spiega, tra l'irritato e il compiaciuto, cosa occorra per trasformare il fuggevole in arte. «Ci vuole autocontrollo, sensibilità intuitiva, fiuto. Il gusto della sorpresa, la pazienza della curiosità. E poi l'abilità di scattare solo in quel momento: come il torero che prende la mira per la stoccata finale».

Ma i soggetti fotografati devono rendersi conto di essere presi di mira? Per decenni si è almanaccato su quanta effettiva «spontaneità» ci fosse dietro gli scatti del leggendario artista; qui, finalmente, Cartier-Bresson svela anche questo mistero. «Tra me e il soggetto ripreso avviene come un furto fra complici. Io non mi faccio notare, ma pure sono lì, presente. Così non suggerisco posizioni, non modifico espressioni: lascio che la persona (che inconsapevolmente sente di essere fotografata) trovi da sola la sua verità. E quindi scatto».

Fieramente contrario alle foto pubblicitarie («Sono una falsificazione, mirano solo ad ingannare») come a quelle scandalose («È l'intensità, che conta in una foto; non la violenza o lo shock») quando svela il proprio volto il restio signore

concede la scoperta finale. Henri Cartier-Bresson soffriva di un tic nervoso. Strizzava continuamente le palpebre, chiudendo gli occhi a ritmo frenetico. Quasi che col tempo si fosse tramutato, egli stesso, in un «click» umano.

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