Per tutti noi che abbiamo creduto nel valore della letteratura e della critica letteraria, versano tempi magrissimi. Per esempio, una volta si dibatteva sul realismo di Lukács. Oggi si è affacciato senza nessuna adeguata teorizzazione un realismo del cz.
Ne discutevamo in un caffè di Milano e qualche sera dopo in uno di Nizza con un amico, uno dei grandi poeti italiani di oggi. Lui mi faceva notare che lultimo romanzo di un giovane scrittore divenuto molto celebre si apre con una battuta di dialogo in cui compare immediatamente la sonora esclamazione di «cz». Gli ricordavo a mia volta che un altro giovane scrittore, di successo meno eclatante ma notevole, inventore di uno dei tanti commissari che fioriscono in questa stagione gialla, ha messo mediamente cinque varianti di cz per pagina in un suo romanzo per altro piuttosto divertente. Solo che il libro ha cinquecento pagine, e, come ebbi occasione di dire al giovane scrittore stesso durante una cena editoriale, millecinquecento cz in un solo libro sono davvero troppi.
Ma perché si sente il bisogno di mimare allinverosimile il linguaggio quotidiano con le sue innocue bassezze? La bassezza in letteratura deve essere travolgente, lutulenta, meravigliosa come in Henry Miller. Qui, invece, nel realismo del cz si registra soltanto un modo di esprimersi di massa non particolarmente riprovevole (alzi la mano chi non dice in privato cz parecchie volte al giorno) ma neanche particolarmente significativo. Essendosi ridotto a pura esclamazione, il cz rischia di estinguersi in letteratura come autonomo organo del corpo umano deputato, tra laltro, alle attività erotiche nella loro mirabolante varietà.
Sempre poche sere fa, un amico, grande critico e studioso, mi telefonava apposta da Parigi per leggermi lattacco straordinario di un romanzo francese libertino del Seicento. In italiano suonerebbe: «Fai, ti prego, fai da guida, o fanciulla, a questa mia cieca mentula». Mentula vuol dire cz. Ma qui non è una vuota, inerte, realistica esclamazione.
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