Nell'Ottocento le chiamano «ombre italiane». Sembrano frutto di una magia, ma il segreto è in un gioco di lenti: l'ottica diventa ancella dell'immaginazione, la stessa scienza che era servita a Galileo per scrutare il cielo e trasformare una nuova visione del mondo in formule matematiche si ritrova per le strade, infilata in macchinette portate sulle spalle da vagabondi che attirano la gente nelle piazze, perché tutti vogliono godersi lo spettacolo. I «maghi» sono detti savoiardi, perché arrivano dalle montagne che dividono l'Italia e la Francia. Nelle loro cassele si può sbirciare «il mondo nuovo»: mettono in scena un «Teatro ottico» in cui la promessa è un viaggio virtuale verso spazi sconosciuti e meravigliosi. La promessa è mantenuta. Di più: è un seme gettato nel terreno dell'immaginazione che, dalla cassela del «mondo nuovo», attraverso lanterne magiche, fantasmagorie, «panorami» e stereoscopi, matura nella realtà virtuale di oggi. Dalla macchinetta sulle spalle al digitale, la germinazione è lunga, ma a spingerla c'è un medesimo desiderio: esplorare quel «mondo nuovo» appunto, gettare lo sguardo là dove non avremmo potuto, sognare l'altrove e l'altrui. E c'è già, anche, la possibilità di essere riguardati indietro, osservati, forse controllati...
Questo viaggio, molto reale, nella «preistoria» del virtuale, è quello a cui ci invita Massimo Riva, docente di Studi italiani alla Brown University, nel suo Giochi d'ombra (Einaudi): un saggio ricco di illustrazioni affascinanti, di macchine curiose, di passaggi dalla pittura al cinema, dalla scienza a Casanova, dal teatro di Goldoni agli specchi dei casini, dalla geografia all'egittologia (insomma, un'immensa cultura: peccato solo per l'attribuzione del Nobel per la Letteratura a Salman Rushdie, purtroppo mai avvenuta...), il cui filo rosso è mostrare «l'avanzare di un'inesorabile logica della simulazione nel secolo del realismo, un realismo sempre più fantasmagorico». Cultura e scienza, arte e tecnologia si mescolano esattamente come avveniva in quelle prime macchine per riprodurre la realtà: i giochi di ombre sono, appunto, giochi, eppure sono anche ingegnosissimi, e così strabilianti da «aprire la mente» degli spettatori.
Si comincia a Venezia, perché molte di queste invenzioni parlano italiano, e veneziano in particolare. Qui Il mondo nuovo non è solo una macchina ma anche un affresco a cui Giandomenico Tiepolo, figlio di Giambattista, lavora per tutta la vita (lo termina nel 1791): al centro c'è proprio la cassela, circondata dalla folla che è accalcata nella «piazzetta» a due passi da San Marco e che, allo stesso tempo, è intenta a scrutare l'orizzonte. Il doppio rimando (fra titolo e oggetto) e una serie di giochi ottici e richiami di sguardi e di legami famigliari ci dicono che, effettivamente, il dipinto ambisce a essere un «teatro del mondo»: ancora di più, Il mondo novo era il titolo di un poemetto di Carlo Goldoni, in cui già si citava «un'industriosa macchinetta/ che mostra all'occhio meraviglie tante»...
Il cosmorama - nome tecnico, ma meno evocativo del «mondo nuovo» - ha una sua versione extralarge nel «casotto» dei Selva, Lorenzo e Domenico, figlio e padre, che a Venezia portano in giro il loro grande gioco ottico, che mette in mostra una serie di quadri animati. Le illusioni portate in piazza a Venezia e, poi, in tutta Europa (i savoiardi conquistano anche Londra) esplodono nelle fantasmagorie: nella cripta dei Cappuccini a Parigi Robertson terrorizza gli spettatori con i suoi fantasmi e attraverso l'abilità con le luci e le ombre prendono vita le teste mozzate degli eroi della rivoluzione e il cranio di Benjamin Franklin. Ma è a Londra che l'italiano (è nato a Padova nel 1778) Giovanni Belzoni assurge a «re», o meglio «leone» (come lo definisce Walter Scott) del genere, con la riproduzione nientemeno che di una tomba egizia, allestita nella monumentale Egyptian Hall nel 1821. Belzoni è un personaggio a sé, descritto perfino da Charles Dickens, che dai numeri circensi come la «piramide umana» arriva a diventare un nome dell'egittologia mondiale e ad attrarre i visitatori nella Tomba, così realistica e coinvolgente nella sua simulazione da dare «la sensazione di entrare in uno spazio vero, remoto e antico». Una «esperienza immersiva» che anticipa i musei odierni, trasmettendo emozioni al pubblico. L'idea è, appunto, quella di una «fantasmagoria reale» e, al momento della discesa nella «fossa delle mummie», le ombre proiettate (in realtà, quelle delle maestranze arabe che aiutarono negli scavi veri, in Egitto...) sembrano quasi mostruose e «prende forma uno spettacolo che non può che rammentare i fantasmi». Stupore e paura vanno insieme.
Il viaggio virtuale è ormai cominciato e non si ferma al passato dell'antico Egitto: il «panorama Garibaldi» che si srotola nelle piazze d'Inghilterra mette in scena, e in movimento, i successi dell'«eroe dei due mondi»; mentre lo stereoscopio fornisce una nuova visione, vivida e quasi reale, del mondo.
Tanto che i fratelli Underwood, dal Kansas, alla fine del XIX secolo mettono in piedi una serie di «guide stereoscopiche» del globo: in pratica «un precursore di Google Earth», che consente di ripercorrere anche il classico Grand tour dell'Italia. Ultima tappa, Venezia. Dove tutto è iniziato, si ritorna, per godersi il grande spettacolo del mondo nuovo. Oggi, più virtuale che mai.
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