Milano - La Lega ribadisce il proprio no all'accorpamento - il 7 giugno prossimo - tra europee, amministrative e referendum. La segreteria politica del partito, riunitasi nella sede milanese di via Bellerio, ha confermato la propria linea. A ribadirlo è stato il ministro Roberto Calderoli: "Manteniamo la nostra assoluta contrarietà alla coincidenza del referendum con le Europee, riteniamo che sia incostituzionale. Su questo abbiamo sentito Berlusconi e lo incontreremo nei prossimi giorni. Sciacallo in questo momento è chi specula sui morti, sugli sfollati e sulla tragedia dell'Abruzzo per ottenere un incostituzionale, e mai verificatosi prima, accorpamento di un referendum abrogativo con un'elezione a suffragio universale diretto".
Il braccio di ferro va avanti Prosegue con "botta e risposta" sempre più duri il braccio di ferro sul referendum. Meglio andare al voto il sette giugno, insieme alle europee e alle amministrative, oppure aspettare una o due settimane? In ballo c'è molto di più dei 400 milioni di euro che si risparmierebbero andando alle urne lo stesso giorno. Certo la "carta" dei soldi sembra un asso nella manica dei referendari: specie ora che c'è l'emergenza terremoto e ogni euro risparmiato e destinato all'Abruzzo sembra cosa buona e giusta. Ma è solo una questione di soldi? Se così fosse non ci sarebbe partita. L'accorpamento sarebbe scontato. Anzi, sarebbe folle pensare il contrario. In realtà in ballo c'è molto di più. C'è il futuro assetto politico del Paese. Se il referendum andasse a buon fine - se si superasse il quorum (cosa scontata nel caso dell'accorpamento) - e se vincesse il sì il sistema bipartitico sarebbe compiuto. Conterebbero solo i due partiti più grandi. Ma questo non è uno sbocco gradito a tutti. Chi lo teme di più è la Lega di Umberto Bossi. Che non a caso da giorni ha alzato un fuoco di sbarramento. E Franceschini subito incalza il Carroccio: "Non ha senso far pagare agli italiani la Bossi-tax".
Calderoli: attentato alla democrazia Il ministro della Semplificazione, Calderoli, ha parlato di "attentato alla democrazia del Paese. C’è di mezzo la tenuta democratica del Paese: dal referendum verrebbe fuori una legge elettorale mostruosa, una tirranide. Oggi c’è Berlusconi, domani c’è un altro premier e non si può permettere a chi ha ottenuto il 25% dei voti di avere il 55% dei seggi in parlamento" perché "neanche nel periodo fascista è stata fatta una cosa del genere".
Guzzetta: no ai ricatti, al voto il 7 giugno Il presidente del comitato promotore del referendum, Giovanni Guzzetta, lancia un appello affinché "Berlusconi e Franceschini vadano oltre la stretta di mano ai funerali dell’Aquila e trovino l’intesa per far sì che il referendum si svolga il 7 giugno con le Europee. E quei 400 milioni risparmiati vadano subito ai terremotati". Guzzetta sottolinea poi che anche la data del 21 giugno è un inutile rinvio perché "lo spreco sarebbe comunque di 313 milioni". Poi il presidente dei referendari invita il Carroccio a considerare il risultato del referendum "un innesco per procedere in tempi rapidi alle riforme, quelle stesse delle quali il Carroccio è sempre stato promotore".
Della Vedova: nessun rischio fascismo Il rischio fascismo agitato dal ministro Calderoli in caso di vittoria del referendume sulla legge elettorale potrebbe essere riproposto "tale e quale nei confronti della Legge Calderoli oggi vigente, che in teoria consente a una coalizione (o a una lista) che ottenga il 25% dei voti di accaparrarsi il 55% dei seggi". Lo dice Benedetto Della Vedova (Pdl), che aggiunge: "Il fatto che il beneficiario del premio di maggioranza sia una lista, anzichè una coalizione pluripartitica, non cambia la natura del beneficio". Della Vedova spezza poi una lancia in favore dei sistemi elettorali maggioritari che, "nella realtà, funzionano assai meglio, perché creano incentivi all’aggregazione assai più trasparenti dei meccanismi di equilibrio delle coalizioni pluripartitiche".
Franceschini: "No alla Bossi-tax" "Non ha proprio senso far pagare agli italiani una specie di Bossi-tax". Il segretario del Pd, Dario Franceschini, va dritto al sodo: "Sono settimane che ripetiamo che non ha senso sprecare più di 400 milioni di euro per impedire di votare la stessa domenica, il 7 giugno, europee, amministrative e referendum insieme. A maggior ragione - ha aggiunto - oggi che servono risorse per affrontare l’ emergenza e il dramma dell’Abruzzo. Non è moralmente serio in questo momento buttare i soldi dalla finestra quando servono per i terremotati".
Castelli: prima dei soldi la democrazia "Qualcuno si è inventato che spostare il referendum costerebbe 460 milioni, e a furia di ripeterlo sembra diventata una verità. Ma per me costerebbe meno e comunque prima dei soldi vengono i principi democratici": lo ha detto il sottosegretario Roberto Castelli a margine della riunione della segreteria politica della Lega Nord. "Siamo contrari per due motivi, in primo luogo perché una legge elettorale non può essere lasciata in mano a operazioni di microchirurgia e in secondo luogo perchè mina i principi basilari della democrazia".
L'ipotesi del "mini-accorpamento" Il premier non ha ancora preso una decisione. Giorni fa ha fatto sapere che ne discuterà in consiglio dei ministri. Di certo ha anticipato di preferire una soluzione meno onerosa per le casse dello Stato. Inevitabile, dunque, l'accorpamento? E' ancora presto per dirlo. Alla fine la Lega potrebbe risucire a spuntare una soluzione di compromesso. Un mini-accorpamento.
Andare al voto per il referendum con il secondo turno delle amministrative previsto per il 21 giugno. Un'idea che trova una sponda nel capogruppo al Senato del Pdl, Maurizio Gasparri. Un compromesso che, nel centrodestra, potrebbe servire a "salvare capra e cavoli".
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