Non sono andato a votare ad alcun referendum. Mai. Il nostro referendum è contro l’aritmetica e per me l’aritmetica è (quasi) sacra. Ed essendo contro l’aritmetica il nostro referendum è, di conseguenza, contro la democrazia, perché in democrazia conta il numero, cioè l’aritmetica. Mi rendo conto che secondo il leader dell’opposizione la nostra sarebbe la Costituzione più bella del mondo. Ma, anche fosse - onorevole Bersani - lei si deve rendere conto che ciò non impedisce che possa essere una fetecchia; ancorché la meno fetecchia di tutte le altre Costituzioni. Questo, almeno, se la logica non è un’opinione. Diciamo, invece, più realisticamente, che la nostra Costituzione è molto bella e vi siamo tutti affezionati, ma ammettiamone la perfettibilità, come di tutte le cose del mondo.
Ora, io non sono un costituzionalista. Anzi, sull’argomento non so alcunché. Rimane il fatto che il nostro referendum abrogativo è, potenzialmente, quanto mai antidemocratico, e questo ce lo dice l’aritmetica, che invece ho studiato, come tutti, alle elementari. Fu concepito per sciogliere l’eventuale dubbio che una legge, voluta (o mantenuta) da una maggioranza parlamentare, sia invece non gradita alla maggioranza del Paese. Il problema è che con le nostre regole referendarie può benissimo accadere che, senza che quel dubbio venga sciolto, una legge sia abrogata lo stesso e da una minoranza. Che può scendere sino al 25% degli elettori. E il fatto che sia possibile che una minoranza cancelli una legge voluta (o mantenuta) da una maggioranza non mi sembra consono allo spirito democratico.
Prendiamo il caso del referendum sul nucleare.
Chi forma l’attuale governo si era proposto agli elettori col programma di riavviare il nucleare in Italia; la maggioranza degli italiani ha votato e voluto questo governo, ed esso sta(va) cercando di attuare quel programma. Orbene, la Costituzione più bella del mondo consente al senatore Di Pietro - che nulla sa di energia e men che meno di nucleare - innanzitutto di pontificare senza vergogna sull’argomento (anzi, reclamando l’esibizione del curriculum a chiunque osi contraddirlo), ma anche di ritenere che, sul tema, il governo Berlusconi e la maggioranza parlamentare non sia maggioranza nel Paese. Tutto legittimo, per carità, ma c’è un ma. Il nostro referendum prevede che se vanno a votare 51 elettori su 100 e 26 di essi si pronunciano per l’abrogazione, allora la legge viene abrogata: 26 elettori su 100. Una schiacciante minoranza - come solo quella di Di Pietro può essere - detterebbe legge sulla maggioranza. Lo trovate democratico?
Nel caso non coglieste ancora appieno l’assurdità della cosa, vi invito a riflettere su questa situazione paradossale. Se vanno a votare ben 49 elettori e tutti chiedono l’abrogazione di una legge, essa non viene abrogata. Se, invece, vanno a votare 26 elettori che chiedono l’abrogazione e ad essi si aggiungono 25 elettori che chiedono il mantenimento della legge, questa viene abrogata. Singolare, no?
L’errore che commette la nostra Costituzione è presumere che le leggi in vigore siano frutto di imposizione divina e non, piuttosto, espressione di una maggioranza che si è già espressa con le elezioni politiche. E, di conseguenza, chi ritiene (legittimamente, per carità) che quella maggioranza nei Parlamenti tale non è più nel Paese - almeno limitatamente ad una specifica norma - dovrebbe avere l’onere di dimostrare l’esistenza di tale squilibrio e dimostrare che a volere l’abrogazione della norma sono non la maggioranza della metà degli aventi diritto al voto, ma la maggioranza di tutti gli aventi diritto al voto. Solo così verrebbe sciolto il dubbio che ha portato alla istituzione della consultazione referendaria.
Siccome ci sforziamo di essere intellettualmente onesti, siamo disposti a convenire con chi obietterebbe che in questo modo i referendari sarebbero penalizzati dalla circostanza che v’è sempre una certa percentuale di elettori che, comunque, non va a votare e del cui non-voto si approprierebbero gli anti-referendari. Non è difficile introdurre un correttivo. Ecco un possibile modo: porre il quorum pari al numero di elettori alle ultime elezioni politiche; sarebbe un po’ come dire che hanno titolo ad esprimersi solo coloro che hanno avuto la responsabilità di andare al voto quando furono chiamati a votare per formare i Parlamenti.
Questo forse non soddisferà chi, come Di Pietro,
vorrebbe imporre la propria volontà di minoranza. Certamente l’attuale referendum non soddisfa me. Ecco perché io non vado a votare ad alcun referendum. Mai. Se ritenete abbia senso ciò che ho scritto, non andate anche voi.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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