Regionali, Formigoni incassa la Lombardia

RomaFortuna vuole che non ci sarà anche la variabile Casini, nel gioco delle candidature per le Regionali. Non sempre il terzo gode, e non sempre cava le castagne dal buco. Tanto più che restano caldarroste roventi, quelle nelle mani dei vertici di Lega e Pdl. Si cercano «punti fermi», e al momento l’unica blindatura (tanta premura però è sospetta) sarebbe quella di Roberto Formigoni nel Pirellone lombardo. Altrove il meteo-candidati segnala forti rovesci in Campania, piogge insistenti sul Veneto e una fragile tregua in Piemonte. Un inatteso ciclone europeo, denominato «Max», promette di abbattersi sul Lazio.
Chi tocca Formigoni? Il governatore dorme sonni tranquilli, si dice. E dopo averlo comunicato urbi et orbi l’altra sera («mai stato in discussione»), il leader di Comunione e liberazione incassa la rassicurazione del coordinatore La Russa, preoccupato per certe illazioni sulle inchieste della Finanza che toccano società cielline. «Ho letto di insinuazioni - s’inalbera La Russa - ma si sappia che non è questo il sistema. Su Formigoni non c’è assolutamente nulla e noi abbiamo totale fiducia in lui. L’indicazione per lui in Lombardia è univoca». Resta da chiarire se il governatore, che pare stia preparando la successione di Lupi alla Moratti al Comune di Milano (si vota tra due anni), non sia nel frattempo interessato a un’esperienza alla guida del Viminale (si parla di uno scambio con Maroni). Ma sembra un arzigogolo sul futuribile, e Formigoni si sa, preferisce il centuplo quiggiù. Per chi ancora sospettasse interessi leghisti sulla superpoltrona lombarda, La Russa taglia corto: «Ho viaggiato in aereo con Bossi ritornando da Roma e anche lui mi ha confermato che non ci sono problemi».
Galanterie. La controprova arriva in tempo quasi reale. Il candidato in pectore per il Veneto, il leghista Zaia, conferma che «Bossi vuole il Piemonte e il Veneto», dunque non la Lombardia. «Il mio nome - si schermisce il ministro - circola assieme a quello di Tosi e di altri, ma non ho ricevuto alcuna investitura. Solo quando Berlusconi e Bossi mi diranno qualcosa, mi porrei il problema». Ma il problema resta non tanto quello personale di Zaia, quanto quello del numero delle Regioni in quota Lega. Come ragiona La Russa, è del tutto «naturale e legittimo» che la Lega chieda «una o due Regioni», ma poi, alla fine, una sola «importante regione del Nord potrà avere». Veneto, sembrerebbe, e non Piemonte. Nonostante gli attestati di stima per Galan, che ieri ha ricevuto l’appoggio di Sacconi: «Il mio auspicio è che continui lui, la continuità va difesa».
Avanti Piemonte. La coperta resta sempre troppo corta: l’unico modo per accontentare Galan potrebbe essere l’invenzione di una candidatura leghista in Piemonte, come quella di Roberto Cota, al posto di Ghigo. Ma un candidato di così poco appeal per i «centristi», rischierebbe di far sfumare lo «strappo» della regione al Pd. Non a caso Zaia sottolinea che l’Udc è «inutile»: per far vincere il centrodestra «Bossi e Berlusconi funzionano da soli».
Grandine sul Vesuvio. Si susseguono gelate e schiarite sulla candidatura più controversa, quella del sottosegretario Nicola Cosentino, del tutto sgradito a Fini e al suo luogotenente campano Italo Bocchino. Dopo tanto tuonare, ieri c’è stata tempesta, perché proprio il giornale edito da Bocchino, il Roma, ha scritto di un imminente ordine di cattura per Cosentino, chiacchieratissimo per i suoi rapporti con alcune famiglie in odore di camorra. Cosentino, coordinatore del Pdl campano, è proprio di Casal di Principe e non se l’è lasciata passare sotto il naso. Non ha esitato a parlare di «macelleria mediatica», della quale «chiederò conto». Lo difende il ministro campano Rotondi, mentre il calabrese Nucara giustamente osserva che «porre dei problemi morali in politica è controproducente: se si avessero dei sospetti su Cosentino non sarebbe in ballo la sua candidatura in Campania, bensì la sua permanenza al governo».
Vento d’Europa. Mai dire gatto se non ce l’hai nel sacco: anche la candidata in pectore, Renata Polverini, è tornata in bilico. Hanno ripreso piede i sostenitori del manuale Cencelli secondo i quali, essendoci già uno di An al Comune, due son troppi.

A rilanciare il ragionamento, il possibile ritorno del commissario europeo Antonio Tajani, qualora D’Alema riuscisse a spuntarla come ministro degli Esteri e vice-commissario della Ue. Un imprevedibile accidente proveniente dalle stelle, come la peste nei Promessi sposi.

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