"Repubblica" rinnega se stessa per demolire Silvio

Ma chi lo dice che la gente è disinteressata ai fatti della politica? Se testiamo l’interesse degli italiani per le storie private del capo del governo arriveranno certamente risultati lusinghieri. Nei luoghi pubblici, se c’è un televisore acceso, appena i tiggì affrontano l’argomento tutti si zittiscono in attesa della nuova indiscrezione. Non si parla d’altro, si moraleggia meravigliosamente, anche. Questa vicenda, che mette in secondo piano gli interventi per il terremoto e persino le sconfitte della Nazionale, interroga dunque in modo radicale anche il carattere degli italiani e di chi pretende di esserne la voce critica, i giornalisti.
Partiamo dagli italiani. Se sappiamo tutto di Noemi e della sora D’Addario e niente della legge finanziaria, se facciamo gli indignati speciali ma non ci spaventa la trasformazione dell’arena politica in un grande condominio mediatico pieno di comari con la lingua biforcuta, significa che il profilo etico e il senso di appartenenza comunitaria del nostro popolo mostrano un preoccupante cedimento. Voghera-Italia: la nostra nazione sta mutando in un enorme esercito di casalinghe annoiate, con tutto il rispetto per le casalinghe, a caccia di storie e vite altrui per trovare un significato alla propria, come il capitano Gerd Wiesler ne Le vite degli altri.
Ma, si dice, se il gossip va è perché ha mercato. È vero, ma non è un destino. Se fosse per qualcuno, me compreso, il Grande fratello sarebbe finito alla prima edizione, tronisti e letterine farebbero altri mestieri, i famosi dell’Isola non sarebbero famosi, la tivù generalista non ospiterebbe nel tardo pomeriggio le chiappe basculanti di Belén, l’industria del rotocalco sarebbe cassintegrata. Se la maggioranza degli italiani fossero così, il cibo del gossip non troverebbe bocche affamate e la privacy sarebbe il prodotto di disattenzione piuttosto che di protezione.
Non c’è pregiudizio moralistico in questa posizione verso chi adora inzuppare il pane dell’anima nei fatti privati dei vip. Ma esiste il diritto di affermare che si può vivere benissimo anche all’oscuro dei dettagli della vita privata di divi e divetti. Evidentemente, a giudicare le pruderie da Italietta anni Cinquanta che vanno alla grande di questi tempi, questa è una posizione minoritaria nella postmodernità dove la politica ha smarrito la sua aura sacrale e non si distingue più tra star dello spettacolo e leader politici.
E qui veniamo ai giornalisti che cercano di sputtanare Berlusconi sul piano non del rendimento politico ma del comportamento intimo, equiparandolo – appunto – a un personaggio da rotocalco mondano. Strano. I giornali progressisti e pedagogici si sono sempre fatti vanto di rappresentare l’Italia più colta, lontana dal popolino guardone e videodipendente, non contaminata dal linguaggio basso del gossip spettacolarizzante. Domanda: con i pezzi del palinsesto della loro inchiesta, scovando confessioni che sembrano prese direttamente da rivistine da sala d’attesa dentistica, cos’altro stanno facendo Repubblica e l’Espresso, e altri appresso, se non sollecitare le medesime pulsioni guardone e piccolo-borghesi che hanno sempre stigmatizzato?
Risposta (così mi dice un vicedirettore di Repubblica): facciamo giornalismo all’anglosassone. Benissimo. Ma cosa vuol dire «fare giornalismo» nell’epoca del giornalismo fai-da-te di Youtube e dei social network, quando il ruolo di cani da guardia per conto dell’opinione pubblica detenuto dai giornalisti è quasi scomparso? Il metodo giornalistico non è una cassetta di attrezzi neutrali con cui si partoriscono notizie dai nudi fatti applicando un protocollo, una tecnica di investigazione della realtà immune da obiettivi politici e di potere. Il giornalismo, invece, parte sempre da un punto di vista particolare sulla realtà, è immerso in una particolare visione del mondo, in un campo di forze, in una lotta tra poteri dove la verità, il più delle volte, è variabile dipendente di altre dinamiche. Oggi fare giornalismo significa prendere posizione, e la posizione particolare adottata dal Gruppo Espresso è quella della demolizione dell’immagine di Berlusconi a ogni costo, anche a costo di contraddire un trentennale posizionamento culturale e di far propri strumenti e pulsioni (a partire dalla «privatizzazione della politica» che gli avversari del berlusconismo imputano al Cav) da sempre additati a esempio della degradazione morale degli italiani. Almeno la finiremo con la favola bella dell’Italia degli ottimati che scruta dall’alto in basso l’Italia trash e berlusconizzata.
Nemmeno la scusa del giornalismo all’anglosassone tiene.

In Gran Bretagna i giornali colti e quelli tabloid e scandalistici sono rigorosamente separati da pubblico, target e da interessi. Ciò che fa il Sun mai potrebbe farlo il Times. Ditelo a chi, sarà l’estate precoce, da due mesi prova a fare il Summer Times.

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