nostro inviato a Venezia
Revisionismo al cinema? Perché no. Quello che si è iniziato a sfogliare ieri qui al Lido di Venezia con la proiezione di 1960 (fuori concorso) di Gabriele Salvatores (giurato a Venezia) è un capitolo di riflessione sulla storia d’Italia che si concluderà martedì con la proiezione di Noi credevamo, il kolossal di Mario Martone, quasi tre ore e mezzo sul risorgimento e l’unità. Ieri sono andati in scena i primi due paragrafi, quello in similveltroniano, firmato da Piergiorgio Gay su musiche di Luciano Ligabue, e quello più autobiografico, appunto di Salvatores. Oggi si leggeranno altre due pagine: la prima, una sorta di bignamino in salsa vendoliana, grazie a dio veloce trattandosi di un corto, intitolata Sposerò Nichi Vendola, dal fascismo ai giorni nostri. L’altra, ci porterà nell’Italia degli anni ’60-’70 attraverso le azioni criminali di Vallanzasca e della sua banda. E ci sarà da discutere…
Intanto, partiamo da Niente paura, farraginoso documentario che scavalla su e giù per gli ultimi trent’anni, dalla strage di Bologna al G8 di Genova fino al caso Englaro, frullando il rock di Ligabue - colonna sonora le sue canzoni e narratore lui stesso che almanacca per tutto il film - con brani della Costituzione, interventi di scrittori, sportivi, comici, politici. «Ho voluto concedere le mie canzoni per dare una voce sentimentale a chi vuole raccontare l’amore per questo Paese», ha premesso Ligabue, lasciando l’affondo civile a Gay che ha citato Gustavo Zagrebelski: «Le costituzioni sono le regole che i Paesi si danno quando sono sobri per andare dritti quando sono ubriachi». Secondo Gay adesso siamo alticci. Ma nel suo film sventolano i tricolori per la vittoria ai Mondiali di Germania sulle note di Balliamo sul mondo (2006) e subito dopo ecco le immagini della nave con ventimila albanesi che attracca alle coste dell’Adriatico (1991) mentre Ligabue canta L’amore conta. Poi la rivolta di Rosarno e Saviano che parla delle mafie. Eluana Englaro e Urlando contro il cielo. Non mancano Giovanni Soldini, Fabio Volo, don Luigi Ciotti, Margherita Hack che parla di coppie di fatto. Javier Zanetti e Una vita da mediano. Paolo Rossi che legge i primi articoli della Costituzione. «È il racconto dell’Italia attraverso le persone che ci piacciono e nelle quali possiamo rispecchiarci», ammette Gay. Il tutto per sottolineare con le parole di Ligabue «che nessuno qui deve sentirsi in affitto perché questo Paese è di chi lo abita e non di chi lo governa».
E, al proposito, don Luigi Ciotti parla di «resistenza». Fortuna che Paolo Rossi osserva che «all’indignazione deve seguire un’azione anche piccola ogni giorno, altrimenti rischia di restare una canzone disperata». Niente paura uscirà nei cinema il 17 settembre e, non bastasse, la produzione sta giusto pensando di mostrarlo anche nelle scuole.
Da mostrare nelle scuole sarebbe invece 1960, film vero del napoletano Salvatores emigrato con famiglia a Milano realizzato con le immagini delle Teche Rai e la voce narrante di Giuseppe Cederna sul testo di Michele Astori e Massimo Fiocchi (il 16 ottobre su Raitre). 1960 è la storia di due fratelli del sud che si separano perché il maggiore decide di trasferirsi a Milano. Attraverso le lettere che gli spedisce regolarmente, il minore sogna un mondo completamente diverso dove «i tram sono come i cavalli, solo che invece della biada mangiano l’elettricità». Finché tutta la famiglia decide di raggiungere il primogenito. Scorrono le immagini della Napoli degli scugnizzi analfabeti e dei Quartieri spagnoli. Poi la Roma delle Olimpiadi di Berruti, della Dolce vita e papa Giovanni XXIII°. Infine la Milano del boom economico, della vespa, della «scatola magica» e di un Celentano giovanissimo che scopre di avere successo cantando il rock ’n roll «fuori tempo». Ed è questo essere un po’ «fuori tempo» l’antidoto alla nostalgia anche del film. «Quello è stato l’anno in cui è nata la parola consumismo e soprattutto è nato il sogno del benessere e della felicità», osserva Salvatores.
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