Famiglie e superstiti. "Ostaggi in pericolo". C'è chi vuole l'inferno. "Tutti liberi subito"

Attesa e tensione nel kibbutz di Kfar Aza. Nelle voci l'immagine di un Paese diviso

Famiglie e superstiti. "Ostaggi in pericolo". C'è chi vuole l'inferno. "Tutti liberi subito"
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«Una totale stupidità ricominciare la guerra a Gaza. I nostri ragazzi sono ancora lì e finora nessun ostaggio è tornato grazie alla guerra, ma solo grazie a un accordo». Shachar Shnurman si è fatto tatuare la data del 7 ottobre 2023 sul braccio. È un sopravvissuto del pogrom di Hamas. Ci parla dal kibbutz di Kfar Aza, distrutto e ormai deserto, dopo che i terroristi di Hamas, in quel tragico giorno di un anno e mezzo fa, hanno oltrepassato il confine tra Gaza e Israele, a meno di un chilometro da qui, e hanno sterminato 64 israeliani su una comunità di 950 anime, preso in ostaggio 19 persone, per poi asserragliarsi nelle loro abitazioni e ingaggiare con l'esercito, arrivato due ore dopo, una battaglia durata quattro giorni. Nelle mani degli islamisti restano due ragazzi di questa comunità, sui 59 ostaggi ancora nella Striscia. Sono Ziv e Gali Berman, di 26 anni. «Non avremo pace finché non torneranno», aggiunge Shachar, lo sguardo malinconico mentre guarda al di là del cancello, direzione Gaza. «Ma il nostro governo ha deciso di uccidere i nostri ragazzi riprendendo la guerra. Spero solo di sbagliarmi».

A un'ora e mezza qui, a Gerusalemme, davanti alla sede del Parlamento, i parenti degli ostaggi manifestano chiedendo che il premier li riceva: «Deve fermare l'uccisione» implorano, convinti che la ripresa dei combattimenti nella Striscia minacci ogni speranza di ritorno dei propri cari. «Io sono in sciopero della fame da 10 giorni» ci racconta davanti alla sede della Knesset un giovane venuto da Efrat. Si chiama Avidan, ha 44 anni ed è un educatore. «Dobbiamo alzare la voce, oggi più che mai per i nostri rapiti».

La paura che la fine della tregua possa coincidere con la morte degli ostaggi è tangibile. «Sono preoccupatissima - ci racconta anche Orit dal kibbutz di Kfar Aza. Non c'è niente di più importante di loro in questo momento. Poi penseremo al resto. Sono arrabbiata e spero che le cose cambino presto». Orit Zadikevitch ha 54 anni, è nata e cresciuta a Kfar Aza, il kibbutz con il sogno della pace e della condivisione. Ma tutto è cambiato il 7 ottobre.

«Io mi sono salvata solo perché quella notte sono uscita e sono rimasta a dormire altrove. Mia madre, 84 anni, è viva anche lei. Ma sa perché? È rimasta chiusa nella stanza di sicurezza per 30 ore, senza cibo né acqua né bagno. Sentiva i terroristi parlare dietro la sua porta, fumare e ridere. Non sono riusciti a raggiungerla perché i razzi che avevano lanciato da Gaza hanno distrutto un pezzo del tetto e bloccato l'ingresso al bunker. Sono stati i missili di Hamas a salvarla da Hamas», ci spiega con un sorriso amaro e la tristezza evidente negli occhi.La più disillusa è Chen Kotler, cresciuta nel kibbutz, che poi ha lasciato per farsi una carriera, per tornarci infine convinta di voler crescere qui i suoi figli: «Sognavamo di portare un giorno i nostri ragazzi a Gaza, a fare il bagno. Lo facevamo da bambine. Sognavamo una convivenza pacifica un giorno. Finché non sono entrati a violentare la nostra quotidianità. Ed è stata un'escalation», ci racconta mostrando quel che resta degli esplosivi rudimentali che nel corso degli anni sono arrivati nel kibbutz dalla Striscia a Kfar Aza, dietro le sembianze di palloncini. «Ora sappiamo con certezza che non possiamo aspettarci nessuna pace e nessun futuro finché Hamas resterà a Gaza. Ma l'unica cosa che conta è riportare a casa i nostri ragazzi. Non ricostruiremo nulla qui finché non torneranno».

Non tutti la pensano allo stesso modo. Chi protesta fa rumore. Ma anche i parenti dei rapiti sono divisi sulla linea del governo.

Il Forum Tikva sposa la linea dura del premier Benjamin Netanyahu sotto lo slogan «All or Hell» («Tutti o l'inferno»), per chiedere la liberazione di tutti i rapiti, mettere fine allo stillicidio del rilascio a tappe degli ostaggi, che Hamas usa come arma di guerra.

«Solo un'enorme pressione militare, il taglio dell'elettricità e dell'acqua e l'occupazione dei Territori porterà al crollo di Hamas e farà in modo che siano loro a implorare il cessate il fuoco e ci ridiano i nostri cari. Li vogliamo tutti insieme, su un unico autobus».

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