Alla ricerca della felicità: pronto a cambiare lavoro 1 (quasi) pensionato su 4

Anche i "baby boomers" ora sono propensi a cercare qualcosa che dia più soddisfazione

Alla ricerca della felicità: pronto a cambiare lavoro 1 (quasi) pensionato su 4
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Pronti a cambiare lavoro presto. A salutare colleghi, svuotare cassetti e reinvetarsi dietro altre scrivanie. Sono sempre di più o lavoratori che non sono più disposti ad accontentarsi: il 44 per cento, rispetto al 38 per cento «misurato» lo scorso anno. Ieri in Confcommercio è stato presentato il terzo «Barometro della Felicità» realizzato dall'Osservatorio BenEssere che monitora come cambia il mondo del lavoro. Come è già cambiato con la pandemia e come aziende e dipendenti siano alla ricerca di nuovi equilibri, perché, come ha sottolineato l'assessore al Lavoro Alessia Cappello, «indietro non si torna».

E se non sorprende, dunque, che i giovani, oggi, sono quelli in gran parte pronti al cambiamento nel breve periodo (lo dice chiaro quasi il 60 per cento), è un segnale importante quello che invece vede anche tra i «baby boomers» uno su 4 pronto a cambiare lavoro, anche se è ormai a un passo dalla pensione visto che ha tra i 59 e i 77 anni. Una percentuale che cresce addirittura al 42 per cento tra la cosiddetta Generazione X cioè chi ha tra i 43 e i 58 anni e riguarda più della metà (il 52,6 per cento) dei Millennials (cioè i nati tra il 1980 e il 1996). È un trend, ormai, come si può notare nel confronto con i dati dello scorso anno. Sempre in salita. La ricerca della felicità e del benessere sul posto di lavoro sono diventati un'esigenza ormai trasversale per giovani e attempati. E per «felicità» (come ha rilevato l'Osservatorio) la maggior parte intende «libertà» (lo dice 55,3%), solo in minima parte la interpreta come «riconoscimento» (12%) oppure «successo» e «ricchezza» (10%).

Così come per «benessere» la maggior parte intenda orma un equilibrio psico-fisico (lo indica il 38,5% per cento). «La pandemia ha fatto esplodere elementi che erano già presenti: i lavoratori hanno preso ancora maggiore consapevolezza della necessità di un cambiamento» hanno spiegato Elga Corricelli e Elisabetta Della Valle, co-founfer della Ricerca. E c'è «l'urgenza di rendersene conto» perché «ne va della forza competitiva delle imprese perché la felicità permette di performare meglio, di attrarre talenti e di fidelizzare le persone». «In Italia ne parliamo poco in questi termini - ha fatto presente Corricelli - ma la felicità è una competenza soft che può essere allenata e porta a un aumento della produttività».

Un circolo virtuoso lavoratore-azienda dove il miglioramento economico non è l'unica e la prima leva del cambiamento. Ma diventa sempre più importante la valorizzazione dell'individuo, delle sue capacità, il riconoscimento dei bisogni. Nella scelta del posto di lavoro infatti al primo posto c'è «l'essere apprezzato-stimato» che tocca il 44,7% e che conta molto di più dell'amore per il proprio lavoro (il 37,8%), dell'essere «stimolato alla crescita» (il 30,2%). Sono queste le molle che spingono al cambiamento, molto più attrattive della flessibilità oraria (28,4%), e persino della fiducia (23,7%), del controllo di ciò che si fa (21,4%). Di contro, risultano meno fondamentali per la scelta elementi come il fare la differenza che si ferma all'11,6%, i collaboratori al 12,3% e l'essere allineati ai valori dell'organizzazione (13%). Tra i dati raccolti anche la «sostenibilità» in azienda conta per il 46%.

«Le imprese ha commentato Marco Barbieri, segretario generale di Confcommercio Milano sono consapevoli di questa evoluzione e stanno sviluppando nuovi modelli di lavoro per essere competitive nel mercato attuale, sfruttando il digitale, investendo in tecnologie innovative e

promuovendo una cultura aperta all'innovazione e al welfare». Lo smart working ad esempio dovrà cambiare ancora, in «una conciliazione di esigenze dove sarà impossibile prescindere dalla relazione», ha fatto notare Barbieri.

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