Monza e la Brianza, come le cifre hanno subito documentato, sono state fra gli epicentri scatenanti dello «tsunami» che ha travolto, nel Nord, la disordinata flottiglia dell'Unione. Qualche irriducibile bugiardo, a Roma, nelle stanze del Palazzo, ha cercato di minimizzare l'ampiezza della disfatta, con sofismi e distinguo, ma a due passi da Milano gli stessi sconfitti hanno indicato le ragioni della batosta: l'avversione per il governo delle tasse e delle risse continue, la rivolta contro una sinistra che non ascolta e non governa né le città né il Paese. Gli elettori hanno fatto la loro parte, ora tocca agli eletti, agli amministratori del centrodestra, marcare la differenza, mantenendo soprattutto la coesione che ha propiziato la vittoria.
Non si pretende la bacchetta magica, ma una linea chiara c'è già: occuparsi della cosa pubblica, nei limiti consentiti dalle autonomie locali, facendo tutto il contrario di quel che ha fatto il governo centrale. Ai Comuni è stato concesso di aumentare tributi e addizionali, ebbene non ne approfittino e, dove si può riducano tasse e tariffe. Migliorino i servizi, aumentino il sostegno alle famiglie e agli strati più deboli della popolazione, con solidarietà vera non con la demagogia. Sostengano le iniziative di chi lavora e produce, con quel pragmatismo senza fumisterie che caratterizza il modello lombardo. Riducano gli sprechi, abbiano il coraggio di battere strade nuove, sempre ascoltando i cittadini, sforzandosi di interpretarne i bisogni e di secondarne gli slanci.
Non è facile, ma è necessario: bisogna rendere più vivibili e sicure le città grandi e piccole, perché siano ricuciti gli strappi creati nel tessuto civile da malavita, droga, immigrazione selvaggia. Non si tratta di sostituire piccole nomenklature e altre, si tratta di liberare le città dal clima di sfiducia e di malinconia civica che sono sempre l'eredità che la sinistra si lascia dietro quando esce di scena.
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