Riecco Vanna Marchi Fa la barista a Milano Al lavoro in semilibertà

L'ex teleimbonitrice ora lavora nel locale del genero fino alle dieci di sera. Poi rientra in carcere

Riecco Vanna Marchi 
Fa la barista a Milano 
Al lavoro in semilibertà

Squisito. Il tiramisu della Vanna. E da oggi, potete contarci, diventerà un must del MalMaison. La Vanna è lei e può essere soltanto lei, Vanna Marchi, che ieri è uscita dal carcere di Bollate per dedicarsi, anima e corpo, alla sua nuova attività.

Dalle dieci di mattina alle dieci di sera sarà in servizio permanente ed effettivo, dietro il bancone del bar di Davide, il compagno della figlia Stefania, titolare del bar di via Napo Torriani, a Milano, a due passi dalla stazione Centrale. Fino alle dieci, prendete buona nota, «signori uomini», perché poi ogni sera, almeno per un paio di mesi ancora, dovrà andare a nanna nel «dormitorio» della casa penitenziaria.
Ma, intanto la regina delle pozioni, l’imbonitrice più urlante dai tempi dell’Impero Romano, ha girato, finalmente, pagina. Condannata in via definitiva il 4 marzo del 2009 dalla Cassazione a 9 anni e 6 mesi per associazione a delinquere, finalizzata alla truffa e all’estorsione, prima di traslocare sette mesi fa a Bollate, ha trascorso gran parte della pena nel carcere della Dozza a Bologna diventando, guarda un po’ come è piccolo il mondo anche dietro le sbarre, amicissima di Annamaria Franzoni e affinando le sue già ben consolidate doti culinarie. Ma leggendo anche libri dal titolo evocativo, tipo Ritratto di signora, Il barone rampante, Uno, nessuno e centomila. Insomma Henry James, Calvino, Pirandello. Mica la carta straccia del gossip. E poi, ancora, dipingendo. Dipingendo talmente bene da vincere il concorso di pittura organizzato tra le 32 detenute. Campagne, orizzonti. Paesaggi bucolici.

Non certo quelli che può ammirare affacciandosi, adesso, sulla porta del MalMaison. Perché è lì, sulla porta del bar, che si «deve» fermare. «Non può neanche attraversare e andare dall’altra parte della strada, come ci hanno ricordato i poliziotti accompagnandola qui», puntualizza Davide che già l’aveva avuta «a servizio» come barista al MalMaison nel giugno di tre anni fa, quando, dopo la sentenza nel processo d’appello, lei e Stefania erano tornate in libertà.
«Allora sì che erano seratone - ricorda Davide - la gente faceva la fila per venire ad incontrarla qui, nel locale. E si stappavano bottiglie di champagne una dopo l’altra. D’altra parte questo è un bar di un certo tipo. Guardi la carta. Non prendiamo ticket, e non proponiamo i soliti piattini di quei bar dove si va di fretta, ma ricette curate e un’ottima selezione di vini. E, d’ora in poi, potremo contare sui dolci di Vanna. Come il suo favoloso tiramisu, appunto».

Lei, la Vanna, che ha compiuto i suoi primi 69 anni, il 2 settembre, ascolta in silenzio. Sembra uscita da una beauty farm, sorride, fa guizzare quegli occhi magnetici che immobilizzavano, ai tempi incriminati, centinaia di persone davanti al piccolo schermo, ma, come da regolamento e obblighi di legge, non parla. Non commenta. Parla per lei, il suo legale, l’avvocato Liborio Cataliotti che, con la puntualità e l’affidabilità di un treno svizzero, l’ha fatta uscire dal carcere appena Vanna ha superato (tra domiciliari, «pre-sofferenza» e indulto) la metà della pena da scontare. «La signora Marchi è serena, è un’altra donna. Ma con la stessa voglia di ricominciare a vivere, e a lavorare per mettere a frutto il meglio della sua creatività, che, già in carcere, nei vari laboratori di pittura, ceramica e cucina tutti hanno avuto modo di constatare e apprezzare».
Insomma, sembrano secoli fa, quando in tv vendeva creme e scioglipancia gridando: «fate schifo!» a donne sull’orlo di una crisi di nervi. O, peggio, promettendo guarigioni e miracoli di vario grado, guadagnava parecchi soldi. Giusto per ricordare come andò, nel 2002 il gip dispose il sequestro preventivo di dodici proprietà della signora Marchi, fra terreni e appartamenti sparsi per l’Italia: valore 40 milioni di euro.

La condanna ha stabilito un risarcimento di 2 milioni e 200 mila euro comprese le spese legali. «Ma - ha sempre tenuto a precisare l’avvocato Cataliotti - la truffa è stata ridimensionata. Inizialmente era stata ipotizzata ai danni di 305mila persone, alla fine sono state 60 quelle risarcite».

Unico caffè dal retrogusto amaro che la nuova barista Marchi (affiancata da due giovani e simpatici colleghi cingalesi) dovrà inghiottire ancora per un po’, sarà l’impossibilità di vedersi con la figlia Stefania Nobile, condannata, più o meno alla sua stessa pena, ma da tempo in libertà per ragioni di salute. Stefania, affetta da artrite reumatoide al ginocchio, è stata operata al Gaetano Pini. «Chissà quando si potranno riabbracciare», chiosa, sconsolato Davide.

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