Riforme, accordo solo dopo il voto

Il ministro Chiti: un patto per non cambiare più la Costituzione a maggioranza. La Lega: dialoghiamo ma non con chi vuole demolire il federalismo

da Roma

L’apertura di Giulio Tremonti. I segnali di fumo di Umberto Bossi. I «punti di contatto» toccati da Piero Fassino e Pier Ferdinando Casini, faccia a faccia in tv. Ma il dialogo tra i poli sulle riforme, se mai decollerà, potrà partire solo dopo il referendum. Al voto ormai mancano appena venti giorni e i due schieramenti si preparano al terzo turno di questa interminabile stagione elettorale: oggi, mentre la Cdl presenterà una serie iniziative a difesa della devolution, un vertice dell’Unione a S. Apostoli darà il via alla campagna per il no.
Scontro fino al 25, le intese semmai dopo. Vannino Chiti, Ds, ministro per le Riforme, torna comunque a proporre «un patto»: «Impegniamoci insieme. Mai più riscritture della Carta a colpi di maggioranza». Nicola Mancino, neo presidente della commissione Affari costituzionali del Senato spera «che si apra uno spiraglio per riflessioni all’indomani del referendum» perché «non è obbligatorio che ci si divida sul tutti i provvedimenti». E Franco Bassanini vede nell’accordo tra Casini e Fassino a Porta a porta «un buon inizio».
Tremonti, che smentisce intese sotterranee e «idilli» segreti con Massimo D’Alema, in linea di principio sarebbe pure d’accordo. «Però - spiega - le modifiche alla legge sono possibili solo se vince il sì. In questo caso ci sarà un tavolo per discutere. Se invece prevale il no, non ci sarà una prospettiva di riforme e non ci sarà nemmeno un tavolo dove sedersi». «Se passa il no - aggiunge Roberto Maroni - la sinistra non farà più nulla. La loro idea di dialogo è finta, hanno sempre respinto il confronto. Vogliono lasciare la Costituzione così com’è». Ma per Linda Lanzillotta prima devono vincere i no. «La collaborazione con la Cdl - sostiene il ministro per le Regioni - deve esserci, però mi sembra assai difficile prescindere da una bocciatura popolare della devolution per avviare una nuova stagione di correzione del titolo V sulla base di un’ampia condivisione in Parlamento».
Il dialogo quindi è rimandato al dopo. La Cdl cerca di compattarsi. Mentre An annuncia «una grande mobilitazione nazionale». il consiglio nazionale dell’Udc affronterà il caso-Follini: i centristi sono cautamente per il sì e l’ex segretario, che vorrebbe la libertà di coscienza, sarebbe pronto a lasciare il partito. E intanto i colonnelli della Lega chiariscono il senso dell’apertura di Bossi all’Unione. Dice Roberto Calderoli: «La nostra linea non è mai cambiata. Siamo disponibili a trattare sulle riforme e siamo disposti a discutere con tutti, tranne con chi attacca il federalismo con l’idea di demolirlo». Precisa Roberto Castelli: «A Bossi hanno attribuito una frase mai detta. Lui infatti si è limitato a chiedere un voto di merito, depotenziando il referendum dal significato politico. Ricordiamo che il 25 non si vota sul governo, ma sul referendum. Noi perciò dobbiamo convincere i cittadini a leggere la riforma, Quando avranno visto cosa c’è scritto, sceglieranno il sì».


Per Luigi Bobba, Margherita, «ha ragione Sartori, la promessa di Tremonti e Panebianco, secondo la quale dopo la vittoria del sì sarebbe possibile fare una riforma della riforma, è a credibilità zero». E dunque, insiste, «perché mai i cittadini dovrebbero andare a votare se i partiti, prima del referendum, trovassero un accordo su come rifare la riforma della Costituzione?».

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