Come Rino Cammilleri diventò un cattolico scomodo

A Pisa fu creata Lotta Continua, dopo il famoso battibecco tra Adriano Sofri e Palmiro Togliatti durante una conferenza di quest’ultimo alla Scuola Normale Superiore. Narra la tradizione che il Migliore fu apostrofato da un giovane Sofri e accusato di non aver voluto fare la rivoluzione in Italia. Ercoli (nom de guerre del segretario del Pci al tempo della Guerra di Spagna) avrebbe risposto all’impertinente suppergiù così: ci provi lei, se ci riesce. E quello di rimando: ci sto provando, ci sto provando. Questa la leggenda, non so quanto vera. In ogni caso, io ne ero perfettamente all’oscuro. \
Insomma, in quegli anni Pisa era umbilicus mundi e Scienze Politiche era umbilicus Pisarum (in latino Pisa è plurale: Pisae). Ebbi modo di capirlo ben presto, quando vidi che un giorno sì e l’altro no la mia Facoltà era occupata o contestata o semplicemente disturbata con megafoni e cartelli. Risale a quegli anni la storica foto del presidente Leone che fa le corna alla folla augurantegli morte. Era affacciato proprio al balcone della Sapienza, la sede di Giurisprudenza e Scienze Politiche (che allora era solo un corso di laurea), dove io mi recavo ogni giorno a (cercare di) seguire le lezioni. Volantinaggi e schiamazzi «sloganizzati» erano la regola e non di rado la lezione di un professore pur comunista veniva contestata da quelli più comunisti di lui. In Piazza Garibaldi, centro geografico cittadino, si celebravano i «processi popolari» al megafono, con gigantografie degli imputati, indirizzo di casa e numero di telefono. Di randellate ai fascisti, veri (cioè, missini o ragazzi del Fronte della Gioventù) o presunti, ne ho viste. E ho visto anche neutri (qualunquisti, secondo il lessico prevalente) diventare davvero fascisti dopo essere stati molestati senza colpa. Scioperi e marce contro la guerra del Vietnam, aggressioni di gruppo, scontri con la polizia il cui motivo contingente ancora mi sfugge, minacce spray sui muri a questo o a quello. Fascisti-borghesi-ancora-pochi-mesi. Fascisti-carogne-tornate-nelle-fogne. \
Una notte stavo uscendo dal cinema, ultimo spettacolo. Per rientrare a casa dovevo passare per il Ponte di Mezzo, che supera l’Arno giusto in Piazza Garibaldi. Mentre camminavo, d’un tratto gli occhi presero a lacrimarmi. Mi volsi verso l’amica con cui ero andato al cinema e vidi che anche lei piangeva. Non facemmo in tempo ad aprir bocca sul curioso fenomeno che sentimmo una tromba squillare la carica. Poi, subito, sordi boati e vampate di fiamme. Già: stavamo andando a ficcarci nel bel mezzo delle barricate, delle molotov e delle cariche delle forze dell’ordine. Dovemmo fare un lunghissimo giro per arrivare a casa. Quando ci fui, vidi che mio padre non era ancora tornato.

Sarebbe stata, quella, solo la prima di tante altre serate danzanti del genere. Mio padre, reduce di guerra, del terrorismo altoatesino e della caccia alla banda Giuliano, ora doveva affrontare la guerriglia urbana degli Anni di Piombo. E per colpa mia.

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