Ripetenti del ’68 bocciati dalla storia

Bersani, di pietro e Fini si travestono da leader barricadieri. Altro che "capelloni" e ribelli: cercano solamente voti. Tutti nostalgici degli anni Sessanta. Per chi, come il presidente della Camera, stava "dall'altra parte: un patetico tentativo di tornare giovani

Ripetenti del ’68 bocciati dalla storia

Antennisti, spazzacamini o ripetenti? A vederli lassù sui tetti per prima cosa uno pensa che sia una strana riunione sindacale, o un dopolavoro, dei tecnici Sky. Un secolo fa avremmo detto che erano spazzacamini, ma visto che sono tutti ricchi e satolli non si può pensare neppure a un remake dell’Italia umbertina. Oltretutto il fumo che si vede non arriva dal camino ma dai sigari. Se si fa attenzione ci si accorge che sono ripetenti. Nostalgici e ripetenti. Rivogliono un Sessantotto. C’è chi lo ha vissuto, chi è arrivato troppo tardi e chi stava dalla parte sbagliata. Tutti comunque si divertono a sceneggiare una nuova contestazione. L’importante è che sia antiberlusconiana. È la sindrome di quelli per cui la storia è un gambero. Gente che si è lasciato l’avvenire alle spalle o vuole cancellare le scelte di una vita.

Reazionari. Prendete il presidente della Camera. Il suo sogno è riscrivere il passato. Riviverlo, rincorrendo le occasioni perdute. Gianfranco Fini saltella idealmente su tutti i tetti d’Italia. Guarda le manifestazioni contro la Gelmini. Osserva le foto di Bersani e Di Pietro, Vendola e Venditti, la Perina e Della Vedova e sogna la giovinezza che ha vissuto nel ghetto. Questa è la sua occasione. Gli studenti in piazza, quei pochi professionisti della protesta, sono solo un pallido avatar di quello che accadde tanti e tanti anni fa a Valle Giulia. Questo non è il ’68. È solo la sua commemorazione, un rito che stancamente si ripete ogni anno, una sorta di frammento da cartolina delle manifestazioni studentesche degli anni ’70. In fondo noi ci siamo abituati a commercializzare gli eventi storici, li ripetiamo come se fosse una liturgia. È per questo che un pezzetto di ’68 si ripete ogni anno. Questo vale per chi vivacchia all’università e mette in scena le gesta dei propri nonni e per i vecchi veri, i signori come Bersani che si commuovono a ricordare i propri vent’anni. È un discorso comune a tutta questa banda di antennisti o ripetenti che sale sui tetti per ricordare o per imitare.

Magari per un volta bisogna ascoltare Beppe Grillo. «Gli studenti e i ricercatori che protestano sui tetti stanno ricevendo le visite dei politici. Signori che vanno per i sessanta salgono le scalette con baldanza giovanile e il sorriso degli italiani in gita. La protesta dei ragazzi è diventata per loro una passerella. C’è già la coda all’inizio della scaletta, Veltroni si sta allenando, non vede l’ora, ma anche Casini, la Bindi, persino Fini vogliono cimentarsi nella prova solenne dell’arrampicata. I ricercatori sono spaesati, presi in controtempo. Se fossi al posto dei ricercatori sui tetti farei una domanda al politico di turno: perché il tuo partito, che insieme agli altri prende un miliardo di euro di finanziamenti pubblici gabellati per rimborsi elettorali, non ha destinato questi soldi alla ricerca?».

È solo uno show nostalgico e l’ultima mossa per far cadere Berlusconi. Il discorso per Fini però è diverso. È ancora peggio. Gianfranco rimpiange le scelte sbagliate. Come disse una volta è finito a destra per caso, anche se a Bologna ci vuole sfiga o coraggio per non cadere a sinistra. A quanto pare per lui era solo sfiga. Adesso si pente di tutto. Non si riconosce. Fa il mea culpa. Quasi si scusa. E cerca di ricostruirsi un curriculum.

Qualche tempo fa raccontò al Corsera il suo ’68 e ammise che Almirante sbagliò: «Non capì i giovani e si schierò con i baroni e i parrucconi. Ci si emozionava sentendo Joan Baez, i Beatles, il nome dell’università di Berkeley, c’erano i figli dei fiori, il Piper, si portavano i capelli lunghi... E anche io me li lasciai crescere».

Gianfranco si è ricostruito un passato da capellone. E va bene così. Il guaio è che si è messo a rincorrere ricordi che non ha mai vissuto. Lo fa ora che è presidente della Camera. Si inventa una vocazione barricadiera. Salvo poi dire: «Sto con gli studenti ma voto la riforma». Come sempre resta un uomo in doppio petto, uno di qua e l’altro di là. Cerca di intercettare il voto di quel manipolo di professionisti della piazza travestiti da studenti. Ma la storia non si ripete sempre uguale e non c’è una nuova possibilità per i ripetenti.

È un illusione ottica, un lifting all’identità e a una certa età rischia di diventare patetico. Questo non è il ’68. Stavolta le parti sono capovolte. Chi sta con i baroni e i parrucconi è salito sul tetto. Ma tutto questo, come l’Alice di De Gregori, Fini non lo sa.

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