Riprendersi i figli è un diritto se il giudice è lento a decidere

Due genitori hanno «rapito» la loro bambina. Da oltre due anni la piccola, che ne ha cinque, era oggetto dell’attenzione del Tribunale per i minori di Bologna che aveva disposto consulenza psicologica sull’intera famiglia, per accertare l’idoneità genitoriale e il benessere psicofisico della figlia. Nel frattempo, l’esercizio della potestà, per decisione dei giudici, era stato trasferito al Comune di Reggio Emilia. Di conseguenza, la bimba, sottratta ai genitori, viveva in un istituto. Il motivo di questa grave penalizzazione sembra essere in un passato di tossicodipendenza dei genitori stessi.
Fatto sta che, da oltre quattro mesi, forse stufi di attendere dal Tribunale segnali di operatività e risoluzione (...)
(...) del caso, i due hanno fatto di tutto per riprendersi la piccola, fino a riuscire a sottrarla alle suore presso le quali si trovava per una vacanza al mare. L’avvocato dei genitori comunica alla stampa che stanno tutti bene e che hanno deciso così per potersi fare giustizia da soli. Il che fa presumere che i tempi del processo erano per loro diventati intollerabili. E in questo hanno sicuramente ragione: l’attesa della parola definitiva di un Tribunale è in Italia, sempre ingiustamente e insopportabilmente, oltre il segno dell’umana pazienza. Soprattutto quando si tratta della vita di un bambino, anzi della metà dell’intera esistenza della bimba di cui stiamo parlando.
Per quante ragioni possa avere lo Stato nell’entrare a gamba tesa nella storia di una famiglia, più gravi e incisive siano quelle ragioni, più tempestivamente i giudici dovrebbero assumersi la responsabilità di decidere. Invece, purtroppo, all’immediatezza dell’intervento iniziale, non corrisponde mai la celerità della conclusione degli accertamenti. E questa sfiducia generalizzata porta a reazioni individuali disordinate.
In questo particolare caso, le notizie di agenzia sono troppo sintetiche perché si possa esprimere un’opinione circostanziata e possibilmente, come io vorrei, dare ragione ai genitori. Senza la lettura dei documenti e dei fatti di causa, sarebbero considerazioni arbitrarie e non corrette. Tuttavia, la singolarità della vicenda suggerisce una nuova prospettiva per vagliare i fatti. Se un genitore rapisce un figlio, sottraendolo all’altro, certamente commette un reato. A seconda dei casi, sottrazione di minore o sequestro di persona.
Ma se due genitori, d’accordo e solidali, dopo avere inteso invano, per un tempo del cuore assurdamente e immotivatamente dilatato, che la giustizia compia il suo dovere di sistemare le cose, si riprendono una figlia, strappata loro dallo Stato se pure a fini encomiabili, faccio davvero una fatica enorme a ipotizzare i medesimi reati. Tutt’al più posso credere a quello di esercizio arbitrario delle proprie ragioni. Infatti, secondo me, si può ben configurare un diritto dei genitori a riprendersi i propri figli, quando «ingiustamente» detenuti da altri. Nella specie, l’ingiustizia è nel tempo sproporzionato alle aspettative, non solo dei genitori, ma anche della figlia. E se c’era da intervenire sull’incapacità genitoriale, lo si poteva forse anche fare agendo presso la famiglia unita (per esempio con educatori e assistenti sociali idonei a monitorare il territorio affettivo e familiare) anziché portarsi il lavoro a casa, così togliendo alla bimba i genitori.
L’unica giustificazione che possono avere le istituzioni è che questi genitori siano davvero incapaci e sconsiderati entrambi, tanto da essere giudicati irrecuperabili. Se così è, c’è comunque insensatezza nel dilatare i tempi decisionali, tanto da coltivare crudeli aspettative sia nei genitori, sia nella piccola vittima della situazione. Se i servizi sociali funzionassero davvero, adempiendo al loro compito di aiuto, controllo, sostegno, recupero del disagio, non ci sarebbero tanti figli senza genitori e viceversa. Ci sarebbero invece famiglie inadeguate, realmente «prese in carico» (secondo il lessico dei servizi sociali) fino al superamento della patologia.
Invece, nel nostro sistema social-giudiziario, a un certo punto dei percorsi lenti e disordinati di qualsiasi processo, anche il farsi giustizia da soli diventa l’unica residuale tutela.

Si arriva così al paradosso che l’opinione pubblica può pensare giusto che genitori, per quanto incapaci, si riprendano una figlia anziché lasciarla nel limbo senza fine del potere giudiziario. Del resto il cuore ha delle ragioni che difficilmente gli uomini e le donne di legge riescono a comprendere.

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