Ieri a Roma c'è stata la presentazione della nuova serie Netflix: Acab. Acab è un acronimo di origine anglosassone che vale All Cops Are Bastards. È anche il titolo di un libro di Carlo Bonini, che aveva la pretesa di raccontare la celere dall'interno dopo che il G8 di Genova, parlando di gestione della sicurezza, è naufragato tra la violenza dei Black bloc e i fatti della scuola Diaz e della caserma di Bolzaneto che sono costati all'Italia condanne dalla Corte dei diritti dell'uomo di Strasburgo. È anche il titolo di un film molto noto del regista Stefano Sollima, che suscitò polemiche sul modo di rappresentare la polizia e soprattutto la celere, i reparti anti sommossa. Se da un lato insisteva sull'umanità di chi si trova ad affrontare, dietro uno scudo di plexiglass, sassaiole e aggressioni, dall'altro descriveva gli agenti come sempre pronti a muoversi oltre il limite della legge. A parte il buono che ad un certo punto denuncia, giustamente, tutti. Per carità fiction... Ma con una nemesi finale in cui gli agenti rischiano di finire male massacrati dai tifosi (gli unici per cui il regista non avesse mai empatia), quasi a pagare col sangue le loro mai specificate colpe su Genova...
Senza fare recensioni alla serie, di cui è stato possibile vedere due episodi su sei, si potrà da domani giorno della messa in onda, limitiamoci a dire che la fiction si muove sulla falsa riga del film. Al centro della narrazione uno degli agenti che il pubblico aveva incontrato già nella pellicola cinematografica, Mazinga, interpretato di nuovo da un sempre bravo Marco Giallini, che riesce anche a non sembrare troppo fuori età per un ruolo del genere. Questa volta il punto di partenza si sposta in Val di Susa. Dopo una notte di feroci scontri all'ingresso dei cantieri, una squadra della celere di Roma vede il proprio comandante finire a terra, gravemente ferito da una bomba carta. E si trova a dover gestire con pochi ordini, tra cui un «non caricate», la situazione. E ovviamente la situazione degenera. Parte da lì una narrazione che segue le vicende di un gruppo di agenti - tra cui Mazinga (come dicevamo Marco Giallini), Marta (Valentina Bellè) e Salvatore (Pierluigi Gigante) - che ai disordini ha imparato ad opporre metodi che dei limiti di legge fanno strame e un affiatamento tribale. Fa eccezione ed è portatore di un altro tipo di valori il caposquadra Michele (Adriano Giannini), figlio invece della polizia riformista, per cui le squadre come quella sono il simbolo di una vecchia scuola, tutta da rifondare. Ma per gli altri ovviamente è poco più di un infame. E intanto in quel di Val di Susa c'è un ragazzino che è finito in terapia intensiva e nessuno vuol dire la verità...
Lo spirito che secondo Netflix dà il senso della narrazione? «È una storia che utilizza gli stilemi di un genere, action e crime, ma va al di là per affondare lo sguardo su un sistema complesso che è la rabbia repressa, la disillusione dei nostri protagonisti, poliziotti e società che li circonda». Così la vicepresidente per i contenuti italiani di Netflix Tinny Andreatta. O come spiega Bonini, che è cosceneggiatore: «A distanza di anni il tema del conflitto resta attuale ma qualcosa è cambiato: c'è più consapevolezza, a partire dal fatto che la polizia ha una scuola di ordine pubblico, ai reparti mobili vengono date in dotazione le body cam e, soprattutto, le donne hanno fatto ingresso nella celere». E il tema della serie, sempre secondo Bonini, sarebbe far riflettere «sul rispettare il confine tra uso legittimo e illegittimo della forza, in quei momenti concitati le decisioni vengono prese in 20 secondi e in condizioni di stress altissimo...».
Però ecco diciamo che il teaser, sempre per non fare spoiler, racconta bene quello che vedrete (almeno nei primi due episodi): ovvero una narrazione crime dove la maggior parte dei poliziotti ha il manganello facile - «questa notte li scassiamo» - e trascina sul lavoro, che è raccontato come spesso è davvero, ovvero come un campo di battaglia, tutti i suoi problemi personali e le nevrosi. Per carità è fiction, come quelle fiction dove tutti quelli con le divise sono dei santi... Ma il quadro generale che ne esce racconta una polizia che si spera non sia quella italiana e quasi sicuramente, per fortuna di tutti, non lo è.
La serie, poi, arriva in giorni animati da scontri in alcune città italiane, a partire da Roma e Milano, per Ramy Elgaml: il ragazzo che ha perso la vita dopo un inseguimento con le forze dell'ordine, il 24 novembre a Milano. Non è la cronaca a dover regolare i tempi di un network di intrattenimento, sia chiaro, però certi argomenti sull'immaginario collettivo hanno un peso e non ci si può giocare troppo.
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